La crisi del Tigrè in Etiopia spiegata in cinque punti

I rischi di un'escalation militare dopo l'offensiva dell'Etiopia nel Tigrè

Cosa succede nella regione etiope del Tigrè? La crisi spiegata in cinque punti con aggiornamenti.

Il tira e molla tra governo d’Etiopia, ribelli della regione del Tigrè e esercito eritreo è al centro dell’attenzione internazionale da quasi un anno. Ma cosa sta succedendo e come si sta sviluppando la situazione? Proviamo a spiegarlo in cinque punti.

  1. Il 12 agosto nasce l’alleanza tra l’Esercito di Liberazione Oromo e quello del Tigré (Tplf) nella lotta contro l’esercito federale etiope. Lo scopo è di rovesciare il governo del primo ministro dell’Etiopia Abiy Ahmed. Il leader del movimento Oromo ha detto che i due gruppi hanno stabilito di cooperare contro il nemico di Addis Abeba. Ci sarà- ha spiegato- una grande coalizione contro il governo dell’Etiopia. L’alleanza militare tra i due gruppi modofica ancora il panorama politico della guerra del Tigré. Dalla fine dello scorso anno il conflitto è uscito dai confini della regione del Tigré coinvolgendo diverse etnie e altri territori come gli Stati regionali etiopi di Amhara e Afar. Il timore è un coinvolgimento nella guerra anche delle regioni vicine del Somali e a quella del Benishangul-Gumu dove esistono tensioni etniche di lunga data.  Intanto qualche giorno prima il governo etiope ha rifiutato la mediazione del Sudan.
    A luglio 2021 le forze militari dell’Eritrea presidiano il confine con Etiopia e Sudan. La mobilitazione dei militari è stata decisa per monitorare l’avanzata delle Forze di difesa del Tigrè (Tdf) che stanno avanzando in tutta la regione di Amhara e minacciano di marciare fino a Addis Abeba, capitale dell’Etiopia. Il governatore della Stato regionale dell’Amhara ha lanciato l’appello ai giovani della regione affinché prendano le armi per combattere contro i miliziani tigrini. I militari di Amhara sono legati all’esercito federale del governo di Addis Abeba e alle truppe alleate dell’Eritrea. Dopo la conquista di Macallè, capitale della regione del Tigrè, sono molte le regioni etiopi che hanno deciso di supportare l’esercito federale di Addis Abeba. Le Tdf sono il braccio armato del Fronte di Liberazione del popolo del Tigrè (Tplf). I leader del Tplf hanno dichiarato di non avere ambizioni territoriali e di volersi limitare ad indebolire il nemico anche allo scopo di scoraggiare possibili controffensive da parte dell’esercito nazionale federale. Molti analisti ritengono però che il vero obiettivo dei tigrini sarebbe quello di controllare il collegamento stradale e ferroviario tra Addis Abeba e Gibuti, che è la principale arteria commerciale etiope. La strategia, secondo alcuni osservatori, sarebbe quella a lungo termine di conquistare una posizione contrattuale più forte in un’eventuale trattativa per il cessate il fuoco con il governo federale, il cui vero obiettivo da parte tigrina è quello di ottenere il pieno ritiro delle forze eritree dalla regione.
  2. A giugno 2021, dopo sette mesi di conflitto, l’Eritrea ha iniziato a ritirare le sue truppe dal Tigrè. Il governo di Asmara ha preso la decisione su richiesta ufficiale arrivata dalle autorità di Addis Abeba. Il ritiro era già stato annunciato. Eritrea e Etiopia avevano a lungo negato la presenza di truppe eritree sul territorio etiope. Lo scorso marzo 2021 il primo ministro dell’Eritrea, Abiy Ahmed, ha ammesso la presenza dei militari nel Tigrè. Il 29 giugno 2020 il Tplf ha riconquistato Macallé, capitale dello Stato del Tigrè, oltre a altre città tigrine.

    L’alleanza di convenienza tra Etiopia e Eritrea


  3. A dicembre 2020 gli abitanti di Macallè, capitale della regione del Tigrè, sono scesi in strada per erigere barricate contro le forze armate eritree e le milizie amhara, alleate delle truppe federali etiope contro il Fonte di liberazione del popolo del Tigrè, che avrebbero fatto irruzione in città con centinaia di camion iniziando a saccheggiare le proprietà pubbliche. Le truppe dell’esercito etiope sono entrate il 28 novembre scorso nella capitale Macallè. E’ l’ultimo atto dell’offensiva lanciata il 4 novembre dalle forze federali contro le autorità dissidenti del Tigray. Lo annuncia il primo ministro etiope Abiy Ahmed in diretta sulla televisione di stato “Ebc”. Tutta la città, secondo fonti militari etiopi, era lo scorso anno sotto il controllo dell’esercito.
  4. A novembre 2020 la guerra civile in Etiopia nella regione del Tigrè rischia di estendersi ai Paesi confinanti. Razzi hanno colpito l’aeroporto di Asmara in Eritrea. La capitale dell’Eritrea, Asmara, è stata colpita da razzi provenienti dalla regione secessionista etiope del Tigray, impegnata da giorni in violenti scontri con le forze armate del governo centrale. Lo riferiscono fonti diplomatiche. Secondo fonti locali citate dai media, i missili hanno colpito l’aeroporto e un quartiere residenziale. Il leader del movimento di liberazione del Tigrè ha rivendicato il lancio di razzi sull’aeroporto della capitale eritrea.
  5. Il 4 novembre 2020 le forze armate dell’Etiopia hanno lanciato un’offensiva militare nella Regione dei tigrè trascinando, di fatto, il Paese in uno stato di guerra. Il premier Abiy Ahmed ha annunciato l’operazione durante un discorso televisivo. L’offensiva militare, ha spiegato il primo ministro, è stata autorizzata a seguito dell’attacco avvenuto nella notte fra il 3 e il 4 novembre contro il Comando delle truppe federali di stanza nel Tigrè. Le autorità di Addis Abeba hanno accusato senza mezzi termini e forze armate tigrine. Queste sono da mesi in aperto conflitto con il governo federale in seguito alle contestate elezioni regionali dello scorso settembre. Tanto da avere proclamato lo “stato di guerra” e hanno annunciato di aver sequestrato le armi in possesso del Comando settentrionale dell’esercito etiope

4 COMMENTS

  1. Mi dispiace leggere interventi pesantemente lacunosi, da un lato, e di propaganda fondamentalista, dall’altro, come questi (e ne ho trovati diversi analoghi, sui media italiani: da L’Avvenire al Manifesto, indirizzati al medesimo obiettivo di sostegno dell’azione dei golpisti). Bisognerebbe ALMENO conoscere di persona la realta’ di cui si tratta, il contesto geopolitico e sociale dell’area e soprattutto le premesse storiche che hanno portato a questa situazione, perlomeno a partire dal rovesciamento del governo legittimo del Negus, il 12 settembre 1974 (con l’assassinio di tutti i ministri, e quindi l’instaurazione di una dittatura comunista durata 17 anni, con 2 milioni e mezzo di morti per fame e 320.00 presunti dissenzianti ammazzati). Dal 1991 i dirigenti del Tplf tigrino hanno preso il potere e instaurata una nuova dittatura, durata 27 anni, durante i quali tutto il potere e le finanze pubbliche sono state concentrate in poche mani, e gran pare del paese e’ stato svenduto ai neo-colonizzatori cinesi. 40.000 i prigionieri politici, e circa 1500 dimostranti ammazzati, finche’ una rivolta nonviolenta ha portato, il 2 giugno 2018 l’attuale premier Abyi, liberaldemocratico e riformatore, al governo, con l’obiettiv di risanare l’economia, di dare democrazia e liberta’ e di smantellare il sistema di divisioni etniche sul quale il Tplf aveva fndato il suo regime, sotto il segno di “Divide et impera”. Un triplice obiettivo molto ambisioso, ma fondamentale per tutti gli etiopi. I capi supremi tigrini, che hanno scatenato il golpe del 4 novembre scorso, ed ora stanno aggredendo la popazione di una vasta area del paese (il nord) stanno combattendo semplicemente per riprendersi il potere. Il 6% della popolazione, sulla base di una ideologia di “supremazia etica”, vorrebbe tornare a cmandare, con le armi sul restante 94%. Lo sapevate? Vi sembra ragionevole? Voi raccontate quanto avviene in Etiopia (secondo le vostre fonti molto schierate) come se, trattando della 2a guerra mondiale riduceste il tutto alle violenze perpetrate da alcuni reparti marocchini sulle donne italiane… Csi’ state offrendo un pessimo servizio (di partigianeria) ai vostri lettori. Specifico che sto scrivendo dall’Etiopia: un paese che amo e conosco, nel quale trascorro diversi mesi all’anno, da 16 anni a questa parte. Dal 1979 lavoro (anche, non solo) come giornalista, e in passato ho seguito e coperto situazioni critiche come la rivolta nonviolenta e insurrezionale degli armeni contro l’impero sovietico nel settembre 1988, la caduta dei regimi dell’est (a Berlino e a Praga) l’anno successivo, e le guerre nella ex Jugoslavia (1991-1999). Sono un doente, titolare di cattedra di Mass Media, e mi appresto a venire ad abitare qui in Etiopa, fra pochi anni. Naturalmente sono disposto ad ogni confronto franco e aperto con voi.

  2. Ultima questione: perche’ voi ed altri continuate a scrivere “Tigre'”? Quella regione (splendida e montagnosa) del paese si chiama TIGRAI (si puo’ translitterare anche in TIGRAY). Tigre’, invece e’ il nome di una etnia minoritaria (di religione islamica) che vive in Eritrea. E’ come se qualcuno all’estero, confondesse “i romani” con “La Romagna”, e ne scrivesse abbondantemente, senza accorgersi della differenza. Un po’ ridicolo, no?

  3. Bah. Ci vuole un bel coraggio a scrivere di essere disponibili al dialogo dopo che di esordisce con un arrogante e supponente “ leggere interventi pesantemente lacunosi, da un lato, e di propaganda fondamentalista, dall’altro, come questi”.
    Non si comprende inoltre come faccia l’autore di questo commento a vedere partigianerie dietro a un post di cronaca dei fatti. Per sua informazione non faccio mai riferimento alle fonti che cita né tantomeno mi riconosco nella linea di alcune di queste.
    Uno dei punti cardini di questo blog magazine è proprio quello di evitare di trasportare la ridondante partigianeria politica tipica delle questioni interne in ambito internazionale. Cosa che non mi pare faccia lei dal momento che vede fondamentalismi in questo articolo e ne sostiene a quanto pare degli altri.
    Infine non so in nome di quale supponenza ritiene di sapere se conosciamo o meno “di persona la realta’ di cui si tratta, il contesto geopolitico e sociale dell’area e soprattutto le premesse storiche che hanno portato a questa situazione”. Peccato per il suo atteggiamento perché l’analisi che fa è molto interessante e di base per un grande approfondimento.
    Ovidio Diamanti

  4. Dite di fare della “cronaca”, e non della propaganda, ma scusa: siete qui sul posto, dove sono io? Fatevi sentire: se volete vi lascio il mio numero di telefono etiope (la mail gia’ l’avete), e potremo parlarne! Io sono qui in Etiopia (oltre che in Italia) dal dicembre 2005 (al tempo della rivolta giovanile e popolare contro il regime del Tplf, repressa nel sangue e con i lager dal regime di allora); mia moglie e’ etiope come tutta la sua famiglia allargata), nostra figlia e’ piavolmente mista (parla bene l’amarico, oltre che l’italiano e l’inglese, e mi fa da interprete. Ho parecchi amici qui, di diversa estrazione sociale, ho pubblicato diversi reportage dall’Etiopia, un saggio, in volume, di antropologia culturale, sui popoli della bassa Valle dell’Omo (unico nel suo genere, in Italia), e soprattutto ho seguito la rivolta degli Hamer dell’estate del 2015 (ero l’unico occidentale andato appositamente sul luogo, e mi sono mosso liberamente, anche perche’ gli Hamer mi conoscono, e io amo la loro cultura e il loro modo di vivere), e poi la piu’ generale rivolta nonviolenta di tutti gli etiopi contro il regime autocratico-repressivo-predone del Tplf (2016-2018), che ha portato al crollo di quella feroce dittatura, e quindi (2 giugno 2018) al governo di Abyi, composto al 50% da donne e di natura liberal-democratica e riformatrice. Quel governo e’ stato confermato alle recenti elezioni libere (le prime dal 2005). Su quela grande rivolta ho scritto anche la sceneggiatura e il testo di un film documentario ((l’unico sull’argomento), diretto da un mio bravissimo ex studente, che mi aveva raggiunto per l’occasione. Il titolo del film e’ TERRA ROSSA. Trovate in rete il trailer, volendo. La mia firma e’ espressa con uno pseudonimo per motivi di sicurezza (la rivolta era ancora in corso, e dall’esito incerto, ed essendo residente qui, volevo proteggere mia figlia. Naturalmente ho etto anche tutto cio’ che ho trovato (volumi in inglese, prevalentemente) sulla storia e la cultura etiope. Detto cio’: dove siete? Da dove state facendo della “cronaca”? Io sono QUI, e seguo gli eventi mentre si svolgono. Per questo dicev che sono SEMPRE DISPONIBILE PER UN CONFRONTO APERTO. Contattatemi, incontriamoci qui, e andiamo insieme dove si svolgono i fatti (a due passi da me). Vi farete un’idea di persona, invece di riportare le voci delle agenzie (sulla cui affidabilita’ o partigianeria non mi esprimo…). E, per favore, smettete di chiamare quella regione etiope “Tigre'”. Si chiama TIGRAI, i Tigre’ sono una’tra cosa! Ciao

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