Un’inchiesta del Washington Post prova a fare luce sui lati oscuri del tentato golpe brasiliano.
Quando le forze di sicurezza hanno allontanato i sostenitori dell’ex presidente sconfitto Jair Bolsonaro dal Congresso del Brasile, dal palazzo presidenziale e dalla Corte Suprema, gli insorti si sono ritirati in un luogo che avevano trasformato nel loro santuario: il prato fuori dal quartier generale nazionale dell’esercito.
I “bolsonaristi” si erano accampati nel vasto spazio verde fin dalla sconfitta elettorale dello scorso ottobre del leader di destra a favore di Luiz Inácio Lula da Silva.
Loro, come lo stesso Bolsonaro, si sono rifiutati di riconoscere la vittoria di Lula, anche dopo che il presidente aveva prestato giuramento il 1° gennaio. Per settimane avevano invitato i militari a organizzare un colpo di stato per mantenere Bolsonaro al potere.
Era una prospettiva che gli osservatori dentro e fuori dal Brasile consideravano inverosimile. Ma quando la sera dell’8 gennaio alti funzionari dell’amministrazione Lula sono arrivati al quartier generale dell’esercito con l’obiettivo di garantire la detenzione degli insorti nel campo, si sono trovati di fronte a carri armati e tre linee di personale militare.
Quell’atto, che secondo i funzionari dell’amministrazione Lula ha dato a centinaia di insurrezionalisti il tempo di sfuggire all’arresto, è una delle numerose indicazioni di un modello preoccupante che le autorità stanno ora indagando come prova della presunta collusione tra funzionari militari e di polizia e le migliaia di rivoltosi che hanno invaso le istituzioni al centro della giovane democrazia brasiliana.