Tripoli tra caos e quiete apparente

Arrivano le forze di Misurata in soccorso del presidente Serraj. Si ritirano i miliziani vicino al generale Haftar. Il ruolo italiano.


Otto giorni di scontri, 47 morti e 129 feriti, due colpi di mortaio che hanno sfiorato l’ambasciata italiana e il governo di accordo nazionale di Feisal Serraj riconosciuto dall’Onu  sempre più in bilico. E’ la fotografia di Tripoli nel caos totale.
Eppure qualcosa si muove nell’intricato panorama libico per riportare stabilità a Tripoli e nel Paese. Il giorno dopo l’escalation militare causata dall’avanzata della Settima Brigata Tarhuna, , guidata dal capo locale Salah Badi, sono intervenute le forze anti-terrorismo di Misurata. Il presidente Serraj in persona le ha attivate d’urgenza per riportare la calma e imporre un nuovo cessate il fuoco.
E l’Onu ha confermato oggi 4 settembre un accordo sulla tregua in Libia. Sotto gli auspici” dell’inviato speciale dell’Onu in Libia, Ghassan Salamé, “un accordo per il cessate il fuoco è stato raggiunto e firmato oggi per porre fine a tutte le ostilità, proteggere i civili, salvaguardare la proprietà pubblica e privata e riaprire l’aeroporto”.
Sotto la guida del generale Mohammed Al Zein, i miliziani di Misurata che hanno sconfitto lo Stato Islamico a Sirte lo scorso 3 settembre sono entrati nella ex-capitale libica. Erano stati allertati da giorni, ma Serraj ha sperato invano fino all’ultimo in un negoziato con gli uomini della Brigata di Tarhuna.
Questi erano avanzati verso il centro di Tripoli. Tarhuna, città a 70 km da Tripoli, è una zona di tribù una volta fedeli a Muhammar Gheddafi. Ora si sono schierate con il generale Khalifa Haftar, la volpe della Cirenaica, lanciato a conquistare tutta la Libia. Le tribù libiche vogliono partecipare alla spartizione della torta petrolifera.
E così, la Settima Brigata di Tarhuna accetta di fare un vero e proprio golpe, o meglio un ribaltone, a favore degli uomini di Haftar e del governo di Tobruk. Un golpe perché Salah Badi si era impegnato a sostenere il governo di Serraj.
Il presidente del governo di unità nazionale Serraj, in difficoltà, aveva chiesto aiuto alle milizie di Misurata, a loro volta divise in diverse fazioni.
Alla fine l’aiuto è arrivato. Il Consiglio Presidenziale Libico, presieduto dallo stesso Serraj, ha fatto scattare l’azione di intervento. Sono arrivate a Tripoli da Misurata alcune centinaia di veicoli militari, pick-up, blindati e anche cingolati. Per prima cosa si sono diretti all’aeroporto, a circa 8 km dal centro città, per riaprire lo scalo.
Il ritiro degli uomini della Settima Brigata Tarhuna dalle zone che avevano occupato in questi giorni. A dare man forte ai miliziani di Misurata sono intervenute anche le Forze di Deterrenza, che fanno riferimento al governo di accordo nazionale libico di Serraj.
L’intervento è servito per cercare di portare stabilità a Tripoli dopo l’escalation causata da miliziani “infiltrati” dalla Cirenaica e sostenuti da Francia e Emirati. In Libia, ma anche in Europa, sono sempre di più a vedere l’esistenza di un piano creato da Parigi ed emirati e realizzato attraverso Aref Ali Nayed, già ambasciatore libico negli Emirati, e uno dei probabili candidati alle elezioni del 10 dicembre prossimo e volute più da Emmanuel Macron che dagli stessi libici.
L’attivazione della forza di Misurata, scrive oggi La Stampa, potrebbe essere il frutto di una collaborazione a tre Roma-Misurata-Tripoli. Fonti dell’intelligence citate dal quotidiano torinese spiegano che le milizie di Misurata concordano di solito le proprie azioni con l’Italia. E’ a Misurata che è presente un contingente italiano a presidio dell’ospedale italiano.
Tripoli ora sembra regnare la quiete dopo la situazione molto critica di questi giorni. Sabato 1 settembre un colpo di mortaio ha colpito il quarto piano dell’Hotel Al Waddam, una struttura importante nella capitale libica luogo di passaggio di personalità politiche, diplomatiche e uomini d’affari.
Lì vicino c’è la sede dell’ambasciata italiana, sfiorata dall’attacco anche il giorno successivo da un’altra bomba. Nonostante le rassicurazioni dei gruppi libici che hanno parlato di una questione tutta interna a loro, il Ministero degli Esteri ha cominciato l’evacuazione del personale italiano. Per farlo ha usato una nave dell’Eni che fa la spola con il porto di Tripoli e che ha caricato anche impiegati, tecnici operativi presso i pozzi petroliferi concentrati nella zona di Mellitah, nella Libia occidentale.
L’aeroporto era stato chiuso dirottando i passeggeri nello scalo di Misurata. Ma i 200 km che dividono le due città libiche non erano più considerati sicuri, e quindi l’Italia (e l’Eni) hanno avviato l’evacuazione del personale.
Dicevamo di Haftar. L’uomo forte della Cirenaica, con sponsor a Parigi e al Cairo, vuole controllare Tripoli e chiudere la partita libica prendendosi tutto il mazzo. Dietro di lui, anche l’ombra della francese Total che vuole strappare a Eni parte delle risorse naturali energetiche della Libia.
L’instabilità mette a rischio la strategia italiana di mediazione nella crisi libica e sua soluzione. In queste condizioni, sarà difficile che si riesca a organizzare a Roma la Conferenza Internazionale per la Libia in programma per la fine di settembre. Per ora in una nota, Palazzo Chigi ha spiegato che conta di andare avanti con la conferenza sulla Libia da prevedere a novembre. Ma se il governo di Serraj dovesse cadere, sarebbe del tutto inutile far arrivare a Roma i capi tribù e i rappresentanti politici delle varie fazioni libiche. Il progetto voluto dalla comunità internazionale, sostenuto dall’Onu, sarebbe morto. A tenerlo in vita e rianimarlo potrebbe essere un eventuale incontro tra il Ministro degli Esteri italiano Enzo Moavero Milanesi e il generale Haftar.
Ma la caduta di Serraj segnerebbe anche la fine del progetto libico della Francia di Emmanuel Macron. La sua offensiva diplomatica e l’indizione delle elezioni a dicembre non avrebbero più senso se Tripoli e la Libia finiscono sotto il controllo del generale Haftar. Pur appoggiando la volpe della Cirenaica, Parigi non sarebbe in grado di condurre una gestione diplomatica del caos totale in cui sprofonderebbe Tripoli e tutta la Libia. Il paradigma di Hobbes prenderebbe forma nel Paese nord-africano: “Ciascuno è contro ciascuno e tutti sono contro tutti”.
Parigi però vuole andare avanti con il progetto delle elezioni di dicembre e la transizione politica della Libia. Anche se fonti vicine al ministero degli esteri francese hanno fatto intendere che se le condizioni non cambiano sarà molto difficile che le elezioni si tengano.

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