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Come l'Isis cerca di destabilizzare l'Afghanistan?

Cosa cerca di fare l'Isis in Afghanistan

Cosa cerca di fare l'Isis in Afghanistan

Lo Stato Islamico ha messo a segno due sanguinosi attentati a Kabul contro forze Nato. Perché i jihadisti vanno all’attacco dell’Afghanistan?


I due attentati di Kabul dello scorso 30 aprile sono gli ultimi di una serie che i jihadisti dell’Isis hanno messo a segno in Afghanistan. Quasi in contemporanea, i kamikaze dell’ex-Califfato hanno colpito dentro la Green Zone della capitale afghana nei pressi del quartiere generale della Nato. I morti sono stati 29. Tra loro 8 giornalisti. L’Isis ha rivendicato.
Lo scorso 22 aprile, un attentato presso un centro elettorale di Kabul ha ucciso 48 persone, in coda presso un centro elettorale per iscriversi alle consultazioni del prossimo ottobre. L’Isis ha rivendicato.
Tra la fine dell’anno e gennaio, l’Isis ha lanciato un’offensiva di attacchi senza precedenti nel Paese. Kamikaze si sono fatti esplodere in una moschea sciita; un terrorista è saltato per aria in una piazza del mercato; infine l’attentato all’ospedale gestito da Save the Children.
Perché l’Isis attacca l’Afghanistan? A luglio 2016 scrivevo questa motivazione:

In affanno in Siria e Iraq dove perde sempre più il controllo del territorio, il Califfo e i suoi uomini cercano sbocchi in cui dirigersi e colpiscono Paesi instabili in cui è più facile accelerare la destabilizzazione. Nel 2015 lo Stato Islamico aveva cercato lo sbocco in Libia, occupando la città di Sirte. Ora la Libia non è più appetibile perché i miliziani dell’Isis sono accerchiati a Sirte dalle truppe del generale Haftar e dai combattenti vicini al governo di unità nazionale

Erano altri tempi, era un’altra storia. Poi le cose sono cambiate. L’Isis è fuorigioco, per il momento, da Siria e Iraq. Forse ritornerà. Però il pressing sull’Afghanistan rimane. Perché?
Ho trovato lo spunto per una spiegazione ragionevole nel recente libro di Henry Kissinger: L’Ordine Mondiale.
Certo si tratta di una mia interpretazione personale e del tutto soggettiva.
L’ex-segretario di stato dei presidente americani Richard Nixon e Gerald Ford fa il seguente ragionamento sull’Afghanistan.
Tradizionalmente, l’Afghanistan è sempre stato più un’espressione geografica che una nazione o uno Stato nel senso convenzionale della parola, cioè un’entità che amministra un territorio attraverso un governo centrale o locale.
A conferma di questo, le tribù e le sette afghane sono state sempre in guerra l’una contro l’altra. Si sono unite soltanto per brevi periodi quando c’è stato da resistere agli invasori o lanciare raid contro i Paesi confinanti. Anche il governo attuale di Kabul sostenuto da Usa, Ue e Nato, non sfugge a questa regola. Può avviare un percorso istituzionale con organi eletti democraticamente. Ma fuori dalla capitale predomina ancora il vecchio codice d’onore del tribalismo e del settarismo. Di conseguenza, riemerge il tradizionale tutti contro tutti. E la riunificazione tra i gruppi tribali avviene solo per combattere un nemico comune. Che una volta si chiamava Russia. Oggi Stati Uniti o Nato. Oppure governo di Kabul, presidente Hamid Kharzai o presidente Ashraf Ghani.
Sulla base di questa analisi, l’Isis potrebbe essere a giocare la carta dell’unificazione tribale contro il nemico comune. Che si chiama governo di Kabul e suoi alleati: Usa, Nato, Unione Europea. Se l’Isis riesce a legittimarsi tra le tribù afgane sostituirà i talebani contro le autorità di Kabul e si radicherà nel Paese.
Non tutti gli osservatori e analisti internazionali concorderanno con questa ipotesi. L’inviata di Rai News Lucia Goracci lo ha detto di recente anche in un convegno all’ispi di Milano. L’Isis nasce in Iraq e Siria e fuori da lì. o dal perimetro mediorientale, difficilmente può sopravvivere. Probabile che la Goracci abbia ragione. Ma una domanda continua a rimanere senza risposta: che ci fa l’Isis in Afghanistan?
Ovidio Diamanti

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