Come trovare la via d’uscita dalla guerra in Ucraina? Chi sarebbero i mediatori più adatti? Una proposta per una soluzione diplomatica.
C’è una soluzione diplomatica per la guerra in Ucraina? Dopo dieci mesi di conflitto e oltre centomila morti, non si vedono ancora prospettive di un cessate il fuoco e di un possibile negoziato.
Il giorno di Natale, Vladimir Putin ha annunciato la volontà della Russia di prendere in considerazione un negoziato di pace. Non ci crede Volodymyr Zelensky, presidente ucraino, per il quale Mosca sta solo prendendo tempo per riorganizzarsi.
Zelensky non si fida
E Zelensky ha ragione a non fidarsi. Il leader del Cremlino parla di negoziati mentre nomina Dmitry Medvedev, un fido a due zampe, vicepresidente della Commissione militare-industriale. Quest’ultimo ha dichiarato che Mosca continuerà la guerra finché non sarà abbattuto “il regime di Kiev”. E’ solo l’ultima di tante esternazioni a cui ci ha abituato questo fedele servitore ed eterno vice dello zar di Mosca. Finché Putin si tiene vicino un provocatore oltranzista come l’ex-presidente russo e poi premier (in entrambi i casi per volontà di Putin), sarà difficile considerare credibili le sue dichiarazioni.
Se aggiungiamo che l’aviazione russa mette in moto nei cieli ucraini i Mig, caccia di alta qualità in grado di trasportare missili ipersonici; che l’esercito russo continua a gettare missili su Kiev e le città del Donbass; che proseguono le aggressioni contro i civili; se consideriamo tutto questo diventa difficile credere a una sola parola di Putin & co.
La proposta di Kiev
Il governo ucraino ha annunciato che a febbraio presenta un piano per un negoziato. Non è trapelato molto tranne l’intenzione di coinvolgere come mediatore il segretario generale dell’Onu, Antonio Guterres. Kiev detta anche una condizione: la Russia accetti la giurisdizione di un tribunale penale per i crimini di guerra.
Questa di Zelensky è una posizione utopistica che pone una condizione irrealizzabile. Come può Mosca accettare, di fatto, un’incriminazione di se stessa in cambio di un negoziato? Kiev punta al fallimento di un percorso negoziale? Ce lo diranno i fatti.
Pur comprendendo la durezza del governo ucraino, Zelensky deve evitare l’errore di passare dalla parte della ragione a quella del torto. Dare l’impressione di volere far fallire il dialogo rischia di dare una mano a Putin e Sergej Lavrov, ministro degli esteri, che accusano quasi ogni giorno Kiev di non volere il negoziato.
Una via d’uscita diplomatica dalla guerra in Ucraina: la proposta
Ci sono tre attori che potrebbero lavorare per riportare a sedersi a un tavolo le delegazioni russe e ucraine. Sono il Brasile di Luìs Lula, l’India di Nerendra Modi e il Vaticano di Papa Francesco. Attualmente sono quelli che possono offrire le garanzie migliori a Ucraina e Russia.
Mosca accusa spesso Kiev di volere imporre le condizioni a senso unico. Sappiamo tutti che lo stato aggressore, per di più perdente in questa fase, non avrebbe alcun diritto di dettare condizioni ma solo di subirle. Abbiamo però anche imparato dalla storia del XX secolo che essere troppo severi crea insoddisfazione e rivalsa. E che prima o poi questi Stati sfideranno di nuovo l’ordine internazionale.
La questione è quindi complicata. La regia diplomatica di Brasile-India-Vaticano, a stretto contatto con il segretario dell’Onu Antonio Guterres, ci potrebbe provare. Il cambio di timoniere in Brasile è ben visto da Putin, ma non spiace del tutto neppure ai democratici degli Stati Uniti. Lula ha avuto un colloquio telefonico con Putin nel quale ha parlato anche di Ucraina. Il presidente indiano Modi ha mantenuto una posizione di equidistanza sul conflitto. Non ha mai preso una posizione netta, neppure di critica, e ha buoni rapporti con Mosca e Washington. Il Vaticano ha avuto momenti di tensione con i russi in questi mesi di conflitto. Tuttavia, Papa Francesco rimane una figura indispensabile per il dialogo internazionale sia per la sua influenza a livello di opinione pubblica internazionale (cosa di cui potrebbe beneficiarne anche la dirigenza russa) sia per il ruolo che può giocare con le chiese ortodosse.
Quale piano per la Troika diplomatica
Cosa potrebbero fare in concreto Brasile, India e Vaticano? La strategia dovrebbe inseguire questi step:
Fase Uno. Convincere Zelensky a una “finlandizzazione” dell’Ucraina. Significa ritirare la domanda di adesione alla Nato e accettare la neutralità del Paese. Prima della richiesta di ingresso nella Nato, Helsinky ha sempre mantenuto la neutralità fin dalla fine della seconda guerra mondiale. Il governo finlandese si era impegnato a non entrare in alcuna alleanza militare occidentale. L’allora Unione Sovietica, e successivamente Russia, avevano accettato questa posizione. E’ questo uno dei motivi per cui la Finlandia, che condivide un migliaio di chilometri di confine con la Russia, non ha subito la stessa sorte dei Paesi dell’Europa orientale.
Quest’operazione di convincimento sarebbe rafforzata dall’impegno dei mediatori a mantenere l’integrità dell’Ucraina con il ritorno ai confini precedenti il 24 febbraio. A loro volta i mediatori dovrebbero impegnarsi a garantire i diritti della popolazione russa e a evitare vendette e progrom verso i filorussi. Su questo aspetto sarebbe auspicabile una forza di interposizione dell’Onu oppure una missione di peace-keeping.
Fase Due. L’accettazione di una finlandizzazione dell’Ucraina sarebbe una garanzia per la Russia. Che potrebbe vedere maggiormente garantite le sue frontiere e migliorare il suo senso di sicurezza.
I tre mediatori dovrebbero impegnarsi con Mosca a mantenere la promessa di James Baker, segretario di Stato di George Bush, nel 1991. Disse a Gorbacev che la Nato non si sarebbe estesa di un pollice a est. E che se la Russia rinunciava alla sua egemonia sull’Europa orientale, gli Stati Uniti non ne avrebbero approfittato per estendere la loro influenza sulla regione.
La Nato in questi trent’anni si è estesa a est molto più di un pollice, mentre l’influenza Usa a est è evidente. Tuttavia si può ancora rimediare, coinvolgendo la Russia in una conferenza internazionale a ciclo costante in cui discutere dei problemi economici, sociali, industriali e altro. Un forum di dialogo e confronto ad alto livello su tutte le diverse questioni, incluse quelle che possono generare maggiori tensioni, per risolverle con la diplomazia. E’, per certi versi, un ritorno al sistema delle conferenze internazionali creato a Vienna nel 1815, ma in veste rinnovata e moderna. E’ anche un’offerta alla Russia di una via d’uscita onorevole.
Fase Tre. Se Kiev e Mosca accettano queste prime proposte, si può definire il cessate il fuoco e una tregua. Sarebbe un primo grande passo, non ancora compiuto in questi dieci mesi di conflitto se non per brevissimi periodi.
Fase Quattro. L’avvio di un tavolo negoziale sotto la supervisione di Brasile. India e Vaticano e il segretario generale dell’Onu. All’inizio dovrebbe essere condotto con diplomatici e rappresentanti politici di profilo medio. L’obiettivo è quello di un approccio graduale. Queste delegazioni avrebbero il compito di definire una road map e l’agenda dei lavori. Man mano che aumenta l’importanza degli obiettivi del negoziato e della posta in gioco, le delegazioni si arricchiscono con esponenti di livello sempre più alto. I livelli più bassi, in sintesi, preparano il terreno favorevole al negoziato per le questioni più complesse che sono affrontate a livelli più alti.
Fase Cinque: la questione della Crimea. La penisola è lo scoglio più grosso da superare. Forse più duro del Donbass. L’unica proposta realistica sarebbe quella di renderla uno Stato indipendente e neutrale sul modello svizzero. Per i suoi porti sul Mar Nero, si può prevedere e studiare una convenzione internazionale che garantisca i diritti della Russia e dell’Ucraina. Un modello simile a quello che disciplina gli Stretti dei Dardanelli e del Bosforo in Turchia. Una Crimea indipendente e neutrale sarebbe una forte garanzia per la Russia ma anche per l’Ucraina che avrebbe ai suoi confini meridionali uno Stato con cui cooperare. Mosca e Kiev potrebbero entrambe stipulare trattati di cooperazione con la Crimea in tanti settori.
Fase Sei. Il negoziato porta a una bozza di trattato. Se le parti in causa concordano con la bozza, il trattato viene presentato all’Assemblea Generale dell’Onu. Gli Stati membri possono decidere di fare da garanti al trattato, aggiungendosi ai tre mediatori.
Fase Sette. La firma del trattato al Palazzo di Vetro di New York. Un percorso che potrebbe concludersi a primavera 2024.
Il fattore economico
Sul conflitto in Ucraina pesa anche il fattore economico.
I costi della guerra, sia materiali che umani, potrebbero infrangere il livello di impegno dell’élite politica russa. La chiave di volta sarà dunque all’interno della Russia.
Come osserva qui Barbara Zanchetta del King’s College di Londra le guerre passate in cui l’errore di calcolo era un elemento cruciale, come il Vietnam per gli Stati Uniti o l’Afghanistan per l’Unione Sovietica, sono finite solo in questo modo. Le condizioni politiche interne sono cambiate nel paese che aveva calcolato male, rendendo l’uscita – “onorevole” o meno – l’unica opzione praticabile.
Questo può accadere, però, solo se l’Occidente resta fermo nel suo sostegno all’Ucraina, di fronte alle crescenti pressioni interne legate ai costi della guerra. Il fattore tempo infine metterà a dura prova russi e ucraini.