Perché Putin vuole collaborare con l’Europa

Il presidente russo ha pubblicato un articolo sul settimanale tedesco Die Zeit. Putin vuole collaborare con l’Europa. Russia e Ue condividono gli stessi interessi, scrive il leader del Cremlino. Perché Putin torna a guardare a ovest.

In un lungo articolo pubblicato sul settimanale tedesco Die Zeit, Vladimir Putin lancia un appello per collaborare con l’Europa. Il leader del Cremlino scrive che i russi sono favorevoli alla collaborazione con i Paesi europei.

Nell’articolo dal titolo emblematico (“Siamo aperti nonostante il passato”), il capo di Stato mette in risalto gli interessi comuni che esistono tra Russia e blocco europeo: sicurezza, assistenza sanitaria e istruzione, la digitalizzazione, l’energia, la cultura, la scienza e la tecnologia, la risoluzione dei problemi ambientali e del cambiamento climatico.

Tra i valori comuni che Putin ha ricordato nel suo articolo c’è la lotta al nazismo, condotta in cooperazione anche con la Russia. Da qui il legame indissolubile, spiega il presidente, che lega il popolo russo con quello europeo. L’Europa che vediamo ora nasce anche da quella cooperazione, scrive nell’articolo.

L’idea  che Putin lancia è di creare uno spazio comune per la cooperazione e la sicurezza dall’Atlantico all’Oceano Pacifico, che includerebbe vari formati di integrazione, tra cui l’Unione europea e l’Unione economica eurasiatica.

Perché il presidente russo fa questa apertura e torna a guardare a occidente? Proviamo a capire.


La sindrome da isolamento

Vladimir Putin teme l’isolamento della Russia. Dopo l’annessione della Crimea nel 2014, negli ambienti politici e diplomatici russi si è diffusa una sindrome da accerchiamento che è la diretta conseguenza dell’isolamento politico.

Lo scenario globale è in mutamento continuo e la leadership russa teme che la situazione sfugga di mano. Le sanzioni limitano il commercio globale delle aziende russe. Le tensioni militari con l’Europa orientale sono snervanti. La Nato ha potenziato negli ultimi cinque anni la sua presenza a est, nei Paesi che costituiscono il fianco orientale dell’alleanza militare: nei Paesi baltici, in Polonia e Repubblica Ceca.

C’è inoltre la questione mai risolta della guerra nell’est Ucraina. Ma c’è anche un alleato sempre più imbarazzante come il bielorusso Alexander Lukashenko. I ministri degli esteri dei Paesi dell’Ue hanno chiesto il potenziamento delle sanzioni verso il dittatore di Minsk. Putin sa bene che tenendo la relazione speciale con la Bielorussia non andrà molto lontano.

Infine, Putin considera la Cina un alleato poco credibile. Storicamente la Russia ha una politica internazionale che sposta il suo orizzonte da est a ovest, o viceversa. Dopo avere tentato la partnership con Pechino, Putin ha ritenuto più vantaggioso tornare a guardare a occidente.

Rimane in sospeso il rapporto con gli Stati Uniti. Putin non ne fa cenno nel suo articolo, ma indubbiamente il recente incontro con Joe Biden ha influito sull’apertura russa al partenariato europeo.


La Russia e il fronte atlantico

Dicevo che il vertice di Ginevra tra i due presidenti di Russia e Stati Uniti ha cambiato qualcosa. Putin ha capito che con l’arrivo di Biden alla Casa Bianca il fronte atlantico euro-americano si salderà di nuovo. La divisione tra le due sponde dell’Atlantico creata da Donald Trump è roba del passato.

Una ritrovata alleanza occidentale può mettere in seria difficoltà la Russia. Perché c’è maggiore determinazione nello spostare gli eserciti a presidio del confine orientale, a intervenire nel conflitto ucraino e a potenziare l’embargo sul commercio russo.

Europei e nordamericani possono lavorare di nuovo in sintonia, pur con interessi diversi, in zone del mondo delicate ma ricche di risorse minerarie e materie prime come il Nord Africa, il Medio Oriente, zone dell’Asia e dell’Africa. Soprattutto possono diventare attrattivi per altri Paesi vicini all’orbita russa. E’ il caso del Montenegro per esempio o della Serbia.


Cina sì, Cina no

Questa ritrovata cooperazione atlantica diventa il pilastro anti-cinese. Il tavolo da gioco internazionale avrà due player, il giocatore euroamericano e quello cinese. La Russia sarà fuori dai giochi o almeno starà a guardare in attesa di avere qualche briciola lanciata sotto il tavolo.

Certo Putin mantiene il dialogo con Pechino ma non si fida della lealtà cinese. Il grande progetto cinese del Bri (Belt and Road Initiative, o nuova via della seta) non è gradito a Mosca. Lo stanziamento di miliardi di investimenti per una grande arteria commerciale e di comunicazione che si mangia una fetta di Paesi per migliaia di km non può piacere al Cremlino.

Se prima Mosca si sentiva in difficoltà e isolata, con la Bri cinese la sindrome russa aumenta. Isolata in tutto il grande asse geopolitico che a sud collega l’Asia del Pacifico fino all’Europa, destabilizzata nel suo confine occidentale con l’Europa e la Nato, colpita da embargo economico e sanzioni che riducono la sua ricchezza, la Russia non ha molta scelta. Non a caso la proposta di Putin è quella di uno spazio comune per la sicurezza e la cooperazione (leggere commercio) dall’Atlantico al Pacifico. Il presidente cerca quindi una via d’uscita, ma anche di sicurezza.


Putin teme la Cina?

Il lungo articolo del presidente russo nasconde dietro le righe un timore: la Cina. L’idea di creare uno spazio comune dall’Atlantico al Pacifico sembra corrispondere alla paura cinese. Putin guarda alla sicurezza della Russia e vede che i pericoli possono arrivare da est.

Si può spiegare così questa improvvisa ricerca di collaborazione e cooperazione con l’Europa dopo anni di tacita convivenza. La cooperazione, in diversi campi tra cui quello commerciale, aumenta la sicurezza russa. Al Cremlino si sentono più sicuri se sanno di avere le spalle coperte a ovest e senza tensioni con Nato, Usa e Europa.


La Turchia: Odi et Amo

Putin ha difficoltà a mantenere la relazione con la Turchia di Recep Tayyp Erdogan. Se nel 2015 i due Paesi hanno sfiorato il conflitto a causa dell’abbattimento di un jet russo da parte dell’aviazione turca nei cieli della Siria, negli anni successivi il rapporto tra Ankara e Mosca si è molto rafforzato.

La relazione è entrata di nuovo in crisi dopo l’ingresso turco nella questione libica e in quella tra Azerbaijan e Armenia, il sostegno di Erdogan ai ribelli anti-Assad in Siria e l’apertura di Erdogan al presidente ucraino nella recente crisi tra Kiev e Mosca sul Donbass.

Queste prese di posizione hanno convinto il leader russo dell’inaffidabilità del presidente turco, protagonista di una politica estera sempre più aggressiva. Probabile che la proposta di Putin farà irritare Erdogan, che ormai ha entrambi i piedi fuori dall’Europa alla quale ha chiesto di aderire.


La partita iraniana

L’elezione alla presidenza dell’Iran del conservatore Ebrahim Raisi mette in guardia le autorità russe. Questo conservatore dal pugno di ferro, che rischia l’incriminazione per violazione dei diritti umani, spietato e convinto assertore del regime degli Ayatollah, difficilmente manterrà la collaborazione trilaterale con Russia e Turchia. La cooperazione si era formata nel momento in cui i tre Paesi dovevano uscire dall’isolamento. Poteva funzionare con un riformista come Hassan Rohani non con un ultra-conservatore pasdaràn come Raisi. Molto dipenderà dagli sviluppi dei negoziati sul nucleare. E dalle scelte di Teheran.


Navalny, diritti umani e spionaggio

Putin ha bisogno più che mai di togliere alla Russia l’immagine di Paese autoritario, spietato e pronto a colpire gli avversari in ogni angolo del mondo. La questione di Alexei Navalny, il leader dell’opposizione avvelenato e incarcerato, si è rivelata un effetto boomerang per la leadership del Cremlino. La vicenda si collega al tema del rispetto dei diritti umani e alle accuse di violazione spesso rivolte alla Russia. Come nel caso Skripal, l’ex-spia russa che insieme alla figlia è stata avvelenata nel 2018 in Gran Bretagna. Il tentato omicidio ha creato una crisi diplomatica tra Londra e Mosca.


La partita diplomatica è dunque tutta aperta. La Russia potrebbe avere scelto di tornare a ovest in funzione anti-cinese, una prospettiva che implica molti compromessi politici per Putin e il suo cerchio magico.

L’Unione Europea, comunque, si trova davanti alla scelta se accettare o meno la collaborazione con la Russia. Un partenariato significa mettere da parte, e implicitamente riconoscere, l’annessione della Crimea che Putin ha strappato all’Ucraina nel 2014 con un colpo di mano. Le conseguenze sarebbero devastanti sul piano diplomatico perché l’Europa perderebbe la credibilità politica a Kiev e tra gli Stati dell’Europa orientale che da anni temono un’azione di forza di Mosca. Come potrebbero fidarsi di un’Unione Europea che collabora con la Russia e mette una pietra sopra alla questione di Crimea? Ciò che è successo all’Ucraina potrebbe succedere anche a loro. Questa perdita di credibilità farebbe innescare tensioni profonde all’interno dell’Ue. E l’unico a guadagnarci sarebbe Putin. Una bella grana per l’Europa.

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