Perché la crisi tra Italia e Turchia riapre la questione del malato d’Oriente

Duello a distanza tra Draghi e Erdogan. Cosa sappiamo della crisi diplomatica tra Italia e Turchia aperta dalla dichiarazione del premier italiano.

Il botta e risposta tra Mario Draghi e Recep Tayyp Erdogan ha aperto una crisi diplomatica tra Italia e Turchia.

Il governo di Ankara si scontra per la seconda volta in pochi mesi con un Paese europeo. Prima la querelle con la Francia per le parole pronunciate dal presidente Emmanuel Macron (leggi qui la vicenda). Dopo lo scontro con l’Italia per le parole usate dal premier italiano Mario Draghi.

In entrambi i casi, l’escalation della crisi ha una radice comune: una pesante critica verso la Turchia. Critica all’integralismo islamico nel caso di Macron, accusa di dittatura nel caso di Draghi.


I fatti

Nel corso di una conferenza stampa sul problema dei vaccini, il premier italiano ha definito Erdogan un dittatore, commentando il trattamento riservato alla presidente della Commissione Europea Ursula von der Leyen (leggi qui cos’è successo).

La risposta turca non si è fatta attendere. Erdogan ha lasciato rispondere al suo ministro degli esteri per sottolineare il fatto che Draghi è un premier nominato e non eletto dal popolo come il leader turco.

Erdogan in realtà ha poco da vantare. La sua riforma costituzionale ad personam gli ha permesso di ricandidarsi e fare probabilmente il presidente a vita.

Il leader turco ha mandato a dire a Draghi di guardare la storia italiana per capire dove c’è stata una dittatura. E ha fatto convocare l’ambasciatore italiano a Ankara Massimo Gaiani.


Il grande malato d’Oriente

La lite a distanza italo-turca rilancia la questione sul “grande malato d’Oriente” (per citare Metternich). Sul piatto c’è l’appartenenza della Turchia alla Nato e la domanda turca di entrare nell’Unione Europea.

Avevo scritto un articolo su questo magazine in cui mi chiedevo se avesse ancora senso la Turchia nella Nato (leggi qui il post). Vale lo stesso quesito sull’Unione Europea: ha ancora senso un dibattito su un ingresso o meno di Ankara nell’Ue?

A parere mio no. Le condizioni sono profondamente mutate rispetto ai decenni precedenti.

La Nato è cambiata così come la Turchia. La politica di Erdogan degli ultimi anni ha cambiato rotta, virando verso la Russia e Iran. Ha giocato una partita nel Golfo strizzando l’occhio al Qatar. Ha mantenuto una posizione ambigua con l’Isis. E’ entrata a gamba tesa nel caos libico sostenendo il governo di Tripoli e indebolendo l’azione diplomatica proprio dell’Italia. Minaccia l’Europa con i migranti e ha chiesto più soldi per tenere chiuse le frontiere.

Il presidente turco dà l’impressione di non lavorare con gli alleati ma contro gli alleati. Non si capisce dunque perché debba conservare un ruolo in un’alleanza militare della quale può conoscerne segreti e informazioni riservate.

Allo stesso modo non ha più alcun senso pensare a una partecipazione turca nell’Ue. Erdogan non condivide niente dei principi e valori europei. Lo ha dimostrato con la durissima e sproporzionata repressione dopo il colpo di stato del 2016. Lo ha confermato con il disprezzo dei valori democratici come è avvenuto con la riforma istituzionale del 2018 che gli ha consentito di vincere di nuovo le elezioni.

Questo “sistema Erdogan” è stato usato anche da Vladimir Putin con la riforma che gli permette di fare il presidente fino al 2036. E anche da Alexander Lukashenko in Bielorussia. A sud est dell’Europa tira insomma un “vento africano”. Come in molti Paesi d’Africa, prende sempre più piede nella grande regione euro-asiatica quel modello della riforma costituzionale che cambia le regole del gioco a favore del governante di turno.

Leave a Reply