Ondata di nuove purghe politiche nella Russia di Vladimir Putin. Non solo Navalny e i manifestanti di Mosca. Sotto attacco l’elite politico-amministrativa.
Le purghe politiche nella Russia di Vladimir Putin colpiscono oppositori politici, alti funzionari dello Stato, amministratori. Non c’è solo lo storico leader dell’opposizione Alexej Navalny a finire nelle patrie galere di Mosca. E neppure i quasi mille manifestanti arrestati nelle scorse settimane perché protestavano in piazza contro l’esclusione di esponenti dell’opposizione alle prossime elezioni amministrative. Il pugno duro del governo russo colpisce molto più in alto e non risparmia alti funzionari dell’apparato burocratico.
Arresti e blitz
Nelle due prime settimane di luglio, per esempio, il bilancio degli arresti o destituzioni è impressionante. Ne fa un quadro completo un’inchiesta del francese Le Monde. Il 1° luglio tre alti funzionari del Daghestan, nel Caucaso settentrionale, vengono arrestati. Due giorni dopo un blitz mette sottosopra gli uffici centrali della regione del Voronej, scattano perquisizioni e sequestri di documenti. Il 6 luglio la polizia russa arresta sei uomini dei servizi di sicurezza. Nella stessa giornata, arrestano anche un rappresentante del presidente del distretto federale degli Urali. Sempre a luglio arrivano altri arresti celebri. Entra in carcere il vice-presidente del Consiglio di Amministrazione della cassa di previdenza sociale russa. Stesso destino per l’ex- primo ministro e l’ex-ministro delle finanze della regione di Astrachan. Perquisizioni e blitz sono avvenuti anche negli uffici governativi della Sacha (meglio nota come Jacuzia) in Siberia orientale, nel Comune di San Pietroburgo, alla Banca Centrale e in molte altre sedi istituzionali. L’accusa, o il sospetto, è quasi sempre la stessa: o corruzione o reati di tipo economico.
Cosa dicono gli analisti
Kiril Rogov è uno studioso di politica e economia, un’analista russo del Gaidar Institute for Economic Policy, membro del Council on Foreign and Defense Policy e della Liberal Mission Foundation di Mosca. In un’intervista a Le Monde spiega che “la moltiplicazione delle accuse contro alti funzionari è una strategia volta a tenere sotto tensione continua l’elite russa, e a creare un sentimento diffuso di terrore soft”.
In un suo rapporto sviluppato per il think tank Liberal Mission, Rogov ha mostrato l’evoluzione dell’offensiva contro l’elite politico-amministrativa della Russia al tempo di Putin. Tra il 2001 e il 2005, scrive Rogov, c’erano soltanto tre rappresentanti governativi o della Duma con accuse, procedimenti penali o arresto. Nel 2008 erano diventati 35. Dopo il 2014, almeno il 2% degli appartenenti alla classe politica e amministrativa russa è incappato in arresti, accuse o processi penali.
Per Rogov comunque è eccessivo fare un paragone con le purghe staliniane degli anni ’30 del secolo scorso. Tuttavia, lo spettro di quel periodo storico incombe sulla Russia attuale. L’analista russo aggiunge che “la durezza della repressione non raggiunge quell’ampiezza dei tempi di Stalin, però gli arresti sono un fattore centrale della stabilità e sistema politico di Putin, arresti che si intensificano anno dopo anno”.
Il Cremlino spiega questi arresti e le purghe politiche come simbolo della lotta dello Stato contro la corruzione. Questa teoria è respinta dai sociologi russi. Come Valery Solovei, dell’Università Statale di Mosca e London School of Economics. Per il professor Solovei “c’è una lotta troppo selettiva per essere considerata sincera. Per esempio non viene mai toccato un alto funzionario vicino all’elite di Putin. Gli dà man forte Alexei Maximov, ricercatore all’Accademia Russa di Scienze: “Per qualunque funzionario è praticamente impossibile rispettare tutte le regole, i commi e le leggi sul lavoro quotidiano”. Di conseguenza, è facile accusarli di violare la legge.
La guerra di potere dentro il Cremlino
Spesso gli arresti sono anche uno strumento per fare pressione sui gruppi rivali all’interno della guerra di potere sotterranea in Russia. Quello più eclatante fu nel 2016 l’arresto del ministro dell’economia Vladimir Ouliokauliev, la prima volta dai tempi dell’Unione Sovietica di un’incriminazione a un ministro ancora in carica. L’accusa fu di essere nelle mani di Igor Setchine, patròn della società petrolifera Rosnet, un centro dei gruppi di potere russi. Oltre a lui, a marzo 2019 è finito in carcere anche l’ex-ministro Mikhail Abyzov, esponente della parte moderata del Cremlino. Il suo arresto è stato interpretato come un avvertimento e un attacco al’ala liberale dentro il governo di Putin.
Dove e a cosa porteranno queste purghe politiche nella Russia di Putin è difficile stabilirlo. La sola cosa certa è che in questo clima di tutti contro tutti è impossibile capire chi è il decisore politico oggi a Mosca. Ma sono in tanti a pensare, che purghe e persecuzioni politiche non potrebbero esserci senza l’avallo del presidente Putin.