Non c’è pace per il Sudan. I comitati degli attivisti non ci stanno. Vogliono passare a un governo civile.
Non c’è pace per il Sudan. Continua da mesi la protesta del comitati degli attivisti sudanesi. Dal colpo di Stato dello scorso ottobre, sono 90 i morti nelle manifestazioni di piazza contro il governo militare. L’ultimo, in ordine di tempo, un ragazzo di 28 anni, ucciso durante l’ennesimo corteo a Khartoum diretto verso il palazzo presidenziale.
Il governo golpista si è insediato dopo avere rovesciato e sciolto l’esecutivo del premier Abdallah Hamdock. Il capo del governo militare, Abdel Fattah al-Burhan, ha imposto lo stato di emergenza e ha approvato l’immunità alle forze di sicurezza autrici della repressione.
Il movimento di opposizione accusa le forze governative di avere sparato proiettili non a salve. Ciò che chiedono gli attivisti è la transizione a un governo a guida civile. Di fatto, è un ritorno alla politica quello che stanno chiedendo i manifestanti. Dietro le proteste c’è anche il peggioramento della situazione economica nel Paese.
Infine, gli Stati Uniti hanno imposto sanzioni alle forze di sicurezza sudanesi. Il Sudan ha avviato una campagna di disobbedienza civile nell’aprile 2019 quando un colpo di Stato militare ha deposto il presidente Omar al-Bashir. I militari hanno sostituito Bashir, alla guida del Paese da trent’anni, instaurando un Consiglio per il governo transitorio. I mesi della disobbedienza civile hanno lasciato il passo alle violenze della repressione militare. Il governo militare non sembra avere alcuna intenzione di avviare una transizione verso la democrazia. E per il Sudan continua a non esserci pace.