L’Arabia Saudita presiede il G20 che si svolge a distanza per la pandemia. Pesa sul summit la crisi del multilateralismo.
Per la prima volta il summit del G20, tra le più forti economie al mondo, ha un Paese arabo come suo presidente. Il re saudita Salman ha aperto il forum annuale (21 e 22 novembre) come padrone di casa “virtuale” perché il G20 si tiene in videocollegamento. Nel suo intervento ha chiesto ai 20 Paesi più ricchi al mondo che il vaccino anti-Covid, una volta messo sul mercato, sia accessibile a tutti. Nel suo intervento, il re saudita ha toccato i tre temi principali in agenda: la tenuta e il rilancio dell’economia mondiale colpita dalla pandemia, il rafforzamento delle istituzioni multilaterali e la moratoria sul debito per gli Stati più poveri.
Il punto centrale del G20 è proprio la crisi del multilateralismo. Il Coronavirus ha accelerato una destabilizzazione già in corso prima della pandemia. Donald Trump era stato eletto nel 2016 con un programma che puntava sull’antiglobalizzazione. Le tendenze all’isolazionismo e al fai da te statale è stato evidente, per esempio, in Gran Bretagna.
Il Covid-19 ha peggiorato queste tendenze. E oggi sembra quasi una profezia lo studio del professor Ian Bremmer, pubblicato nel 2011 su Foreign Affairs, in cui scriveva di un livello Gzero. Un annullamento, in sostanza, delle relazioni multilaterali (e quindi dei vari G7 e G20) perché ogni Paese avrebbe seguito la regola del chi fa da sé fa per tre.
Al tempo della pandemia, il rischio di una nuova filosofia di pensiero stile “my country first” è reale. Nel mondo cosiddetto occidentale le tensioni non mancano. Gli Stati Uniti non conservano più l’egemonia che hanno avuto dalla fine della seconda guerra mondiale. E hanno perso attrattiva e credibilità in molte regioni del mondo. Inclusa la storica vecchia alleata Europa. Gli anni di Trump sotto questo aspetto sono stati devastanti. La frattura con i Paesi europei si è consumata sulla Nato e sul trattato nucleare con l’Iran.
Sul fronte economico e commerciale la battaglia dei dazi ha peggiorato le relazioni transatlantiche. E anche quelle con la Cina. Il distanziamento sociale, ma anche economico e diplomatico, tra Washington e Pechino è davanti agli occhi di tutti. Si pensi alla crisi politica per il Coronavirus dai toni accesi tra le due superpotenze. E i summit internazionali, come il G20, non sembrano aiutare a risolvere la querelle. Un celebre studioso americano, Graham Allison, ha scritto al riguardo un libro dal titolo significativo di “Destinati alla guerra”. E lo stesso autore ha spiegato alla vigilia delle elezioni presidenziali che la tensione Stati Uniti-Cina non si alleggerirà con la vittoria di Joe Biden.
La crisi del multilateralismo si mostra in tutto il suo splendore nelle istituzioni internazionali. Dall’Onu al Fmi si assiste a una paralisi e inazione delle più importanti agenzie internazionali. Non è questa la sede per approfondirne le cause ma è indubbio che le strutture obsolete delle istituzioni internazionali non sono in grado di regolare le tensioni tra Stati, accentuando le tendenze all’isolazionismo.
La Cina sta cercando di modificare l’ordine globale a modo suo. Pechino gioca due partite diverse dentro e fuori il quadro delle alleanze e delle istituzioni internazionali. Sta, in sostanza, con un piede dentro il quadro istituzionale internazionale e, con l’altro, si muove autonomamente all’esterno. Si pensi per esempio alla strategia cinese della Via della Seta, lo strumento con il quale Pechino sta aggirando l’Organizzazione Mondiale del Commercio costruendo una grande alleanza commerciale dal valore politico e strategico imponente. Oppure all’offensiva diplomatica e militare della Cina nelle acque del Mar Cinese Meridionale.
In gioco c’è insomma la riprogettazione dell’ordine internazionale. Come ha scritto l’ex-ambasciatore Giampiero Massolo, attualmente presidente dell’Ispi, il multilateralismo ha però gli anticorpi per sopravvivere e non è detto che sia morto. Come scriveva Mark Twain: “Le voci sulla mia morte sono state molto esagerate”. E il compito dei summit come quello del G20 attuale è proprio quello di mostrare che le voci sulla morte del multilateralismo sono state esagerate.