Perché la politica internazionale cinese passa dal mare. La capacità navale militare di Pechino è seconda al mondo dopo gli Stati Uniti.
La politica internazionale della Cina del XXI secolo passa dal mare. Scomodando Temistocle, politico e generale ateniese del quinto secolo avanti Cristo: “chi ha il dominio del mare ha il dominio di tutto”. E i cinesi sembrano conoscere bene la massima. Pechino ha bisogno di assicurare i transiti alle sue navi per garantire i suoi commerci con l’estero e assicurarsi le materie prime come petrolio e gas naturale. Inoltre, ha la necessità di completare il grande progetto della Nuova Via della Seta, rimasto incagliato negli anni della pandemia.
La politica estera cinese gioca le sue partite sul potenziamento navale. La Cina ha sviluppato nell’ultimo quinquennio la sua capacità navale per attraversare gli oceani e i mari circostanti. Ma anche avere una marina a corto raggio per pattugliare le sue acque territoriali. Oltre a una a lungo raggio per solcare gli oceani.
La Cina presenta la nuova strategia: più presenza militare sui mari
Il problema della Cina è stata l’obsolescenza delle sue navi. Rispetto alle dotazioni navali con tecnologia avanzata di Stati Uniti, Pechino è ancora indietro. I suoi uomini sono stati addestrati per anni su una portaerei di seconda mano. Il 2016 è l’anno della svolta. L’industria navale militare ha realizzato la prima portaerei di fabbricazione cinese. Il 17 giugno 2022 è stata varata a Shanghai la terza moderna portaerei cinese. Si chiama Fujian e il nome non è casuale dal momento che richiama la provincia omonima che sta di fronte a Taiwan. Attualmente la Cina è al secondo posto per portaerei dopo gli Stati Uniti. Segue il Regno Unito con due navi di questo tipo e la Russia con una.
Entro il 2035 Pechino avrà altre tre portaerei.
Difficilmente la Cina raggiungerà la capacità navale di una superpotenza come gli Usa. Tuttavia, possedere portaerei moderne amplia il raggio d’azione di Pechino. Più le navi cinesi solcano i mari asiatici, meno spazio ci sarà per gli altri Stati, Usa in particolare, nelle acque asiatiche. Navi e missili terrestri anti-navi che i cinesi stanno costruendo, saranno un deterrente per sconsigliare a Stati Uniti e loro alleati l’ingresso nel Mar Cinese Meridionale e Orientale. Inoltre, la Cina ha in corso la realizzazione di un progetto spaziale che permetterà di spiare ogni mossa degli americani e loro alleati.
Lo sviluppo navale consente di controllare quelle che i cinesi chiamano “prima catena di isole” e “linea dei dieci punti” (che include anche Taiwan). La Cina rivendica da sempre nel Mar Cinese Meridionale circa 200 punti tra isolette e scogli. Questa rivendicazione crea da anni tensione tra Pechino e i suoi vicini. In particolare, il gigante giallo vuole controllare il transito attraverso questa catena di isole. In termini geopolitici, per la Cina è fondamentale controllare le principali rotte di navigazione verso il Mar Cinese Meridionale. In tempo di guerra questi varchi si possono chiudere, impedendo il passaggio delle navi straniere e isolando la Cina.

Ecco cinque cose da sapere sulla politica internazionale della Cina:
- Giappone. L’arcipelago giapponese impedisce lo sbocco al Pacifico delle navi cinesi. Queste dovrebbero aggirare la penisola coreana, attraversare il Mar del Giappone all’altezza di Hokkaido e poi finalmente entrare nell’Oceano. Si tratta di acque giapponesi e russe, come quelle delle isole Curili che appartengono alla Russia ma sono rivendicate dal Giappone. In caso di guerra o di tensione, le acque sarebbero inaccessibili. Tra Giappone e Cina la contesa è anche sulle isole Senkaku, giapponesi, ma che i cinesi chiamano Diaoyu. L’altra contesa è sulle isole Ryukyu, l’arcipelago con Okinawa. Sull’isola si trova una base militare americana e il Giappone ha schierato i missili terra mare. Anche le Ryukyu impediscono l’accesso delle navi cinesi all’Oceano Pacifico. Ma una diatriba con il Giappone riguarda i giacimenti di gas naturale nel Mar Cinese Orientale.
- Taiwan. A dividere il Mar Cinese Meridionale da quello Orientale c’è l’isola di Taiwan. Pechino considera Taiwan la sua ventitreesima provincia. Taiwan è stata sotto la sovranità della Cina solo dal 1945 al 1949, quando nacque la Repubblica Popolare Cinese con capitale a Pechino. Dal 1949 Taiwan ha assunto il nome di Repubblica Cinese per differenziarsi da quella maoista di Pechino. Gli Stati Uniti si sono impegnati con il Taiwan Relations Act del 1979 a difendere l’isola. La Cina vorrebbe annettere Taiwan ma non può farlo con l’uso della forza, sebbene continui a mostrare i muscoli. In una prima fase, la politica cinese ha fatto ricorso al turismo e al commercio per fare tornare l’isola tra le sue braccia. Ha puntato a convincere i taiwanesi che non hanno nulla da temere se si ricongiungono alla madrepatria. L’esempio più eclatante fu durante i moti studenteschi del 2014 a Hong Kong. La Cina evitò qualunque repressione, come invece fece in tanti altri casi. Le autorità cinesi non volevano mostrare a Taiwan che reprimeva le proteste. Nella seconda fase, almeno dal 2018, il governo di Pechino cambia rotta. Interviene con fermezza contro le proteste a Hong Kong, si avvicina con troppa frequenza alle acque taiwanesi con navi e aerei militari, spesso violando lo spazio sovrano.
- Stretto di Malacca e Mar Cinese Meridionale. Le navi cinesi hanno bisogno di raggiungere i porti mondiali per i commerci della Cina e approvvigionarsi di petrolio e gas naturale. Per raggiungere i Paesi del Golfo ricchi di petrolio le navi cinesi devono attraversare lo Stretto di Malacca su cui si affacciano Malesia, Singapore, Indonesia. Tutti questi Paesi sono alleati degli Stati Uniti. Lo Stretto è un corridoio lungo 800 km e in alcuni punti largo 3 km. La Cina rivendica anche tutto il Mar Cinese Meridionale per i giacimenti petroliferi dei suoi fondali. Anche gli altri Paesi che si affacciano sul Mare hanno però gli stessi interessi. Malesia, Vietnam, Taiwan, Filippine, Brunei rivendicano la loro sovranità e zone territoriali. Cina e Filippine si contendono le isole Mischief, alcuni scogli dell’arcipelago delle Spratly. Poi ci sono gli infiniti atolli e scogli che sono contesi da tutti i Paesi. Per battere tutti sul tempo, la Cina sta cercando di bonificare alcuni di questi isolotti, trasformandoli in isole vere e proprie. Una delle isole Spratly è ormai dotata di una pista di decollo e di atterraggio per i caccia militari.
- La Cina aspira a diventare una potenza affacciata su due oceani (Pacifico e Indiano), investendo in porti strategici in Myanmar, Bangladesh, Pakistan e Sri Lanka. I porti nel Golfo del Bengala fanno parte di un piano ambizioso. Pechino ha affittato il nuovo megascalo di Gwadar in Pakistan, una base per la rotta alternativa terrestre verso la Cina. Nella zona costiera di Myanmar la Cina ha costruito gasdotti e oleodotti per collegare il Golfo del Bengala alla Cina sud-occidentale. In questo modo il gigante asiatico riduce la sua dipendenza dallo Stretto di Malacca.
- Africa. I cinesi hanno realizzato porti anche in Kenya, linee ferroviarie in Angola, centrali idroelettriche in Etiopia, basi militari in Gibuti. E battono l’Africa in lungo e in largo alla ricerca di minerali e metalli preziosi.