Il botta e risposta a distanza tra Joe Biden e Vladimir Putin sul ricorso alle armi nucleari nasconde due strategie che cambieranno ancora il corso di un conflitto che dal suo inizio a febbraio è già mutato diverse volte.
Vladimir Putin è sempre più isolato sul piano internazionale. Millanta forza e alleanze che in realtà non ci sono. I due assi del mazzo sui quali puntava, il cinese Xi Jinping e l’indiano Nerendra Modi, lo hanno lasciato a piedi sulla questione ucraina.
Disposti a forme di cooperazione economica e a creare un ordine internazionale diverso, hanno fatto intendere negli incontri a Samarcanda che non seguiranno il leader russo nell’avventura ucraina. Entrambi hanno mostrato preoccupazione sul conflitto e non intendono farsi trascinare in una guerra che li riguarda poco. Commercio e economia sì, guerra che farebbe precipitare i loro export in Occidente no. Putin lo ha capito e ha incassato il colpo, coprendosi anche un po’ di ridicolo nel momento in cui ha dichiarato con atteggiamento servile e pedissequo il sostegno a un’unica Cina con Taiwan.
Putin: d’accordo a finire guerra ma Kiev non vuole
Isolato all’estero e braccato in casa, con un consenso che è crollato dopo la controffensiva dell’esercito ucraino e una stabilità politica che traballa, accusa pubblicamente il governo di Kiev di non provare a organizzare atti terroristici contro infrastrutture su territorio russo. Altrimenti ci sarà una “seria risposta”. E’ l’ennesima mossa disperata per stringere a sè la classe politica e l’opinione russa contro un nemico che minaccia la sicurezza.
Joe Biden ha risposto duramente, ricorrendo alla minaccia atomica. Il messaggio è stato chiaro: non usare l’atomica verso l’Ucraina o ci saranno conseguenze. Intelligence e diplomazia Usa temono che che Putin possa creare ad arte un pretesto per poter usare la bomba atomica contro Kiev. Un atto criminale che sarebbe l’ultimo di una serie di crimini commessi dalla Russia dall’inizio dell’invasione.
La palla da gioco torna quindi nella metà campo russa. Il capo del Cremlino ha ora davanti a sè tre opzioni: riprendere la guerra sul terreno con un esercito stanco e demotivato; mettere fine al conflitto con un pretesto; agitare lo spauracchio dell’uso dell’atomica in Ucraina per dimostrare che se volesse spazzerebbe via in un attimo il Paese. Su quest’ultimo punto però non si aspettava la risposta secca di Biden. Che incoraggia anche gli ucraini. La minaccia da Washington ha, al tempo stesso, un effetto di deterrenza sui russi, allontana cinesi e indiani, crea una voragine politica a Mosca dove alla Duma i maldipancisti e critici verso l’operato di Putin sono in crescita. Allo zar rimangono dunque pochi e sgangherati fedelissimi, tra cui il bielorusso Alexander Lukashenko e il nordcoreano Kim Jong-un. Dietro la porta c’è anche il presidente turco Recep Tayyp Erdogan che, a detta di chi scrive, sarà il prossimo Putin. Con l’Iraq e la Siria al posto dell’Ucraina.
La partita è dunque complicatissima. Biden e gli Stati Uniti devono gestire con attenzione e diplomazia la questione di Taiwan, evitando scivoloni pericolosi che potrebbero convincere Pechino a avvicinarsi di più alla Russia. Sullo sfondo c’è sempre la minaccia nucleare. Si parla un po’ troppo di atomica e compito dei governi e dell’Onu è lavorare per ricreare un clima internazionale di dialogo e confronto. Per ora l’atomica è solo a parole. Ma tra il dire e il fare non c’è sempre di mezzo il mare.