La scena iniziale è questa. C’è un presidente degli Stati Uniti. C’è una diga africana da riempire con milioni di metri cubi d’acqua del Nilo. C’è una discordia, in via di soluzione, tra Etiopia, Egitto e Sudan. Leggete il seguito per capire cosa succede.
La scorsa settimana Donald Trump, presidente Usa in scadenza, dichiara alla stampa che “l’Egitto farà saltare in aria la diga”. E aggiunge che “il progetto andava fermato prima che iniziasse, ma purtroppo l’Egitto era nel pieno dei tumulti della Primavera Araba quando è iniziato nel 2011”. Parole dure e pesanti. Tanto più che a pronunciarle è un presidente degli Stati Uniti mentre sta presentando l’accordo tra Israele e Sudan. Parole che ovviamente non sono passate inosservate nelle capitali dei Paesi africani direttamente coinvolti.
La vicenda della diga africana
Sulla “infrastruttura della discordia” ho già parlato in questo post. I lavori per costruire la più grande diga dell’Africa sono cominciati nel 2011. Definita come “Rinascimento Etiope”, la diga sul Nilo Azzurro, lunga 1,8 km e alta 155 metri, avrà una capacità di 64 miliardi di metri cubi d’acqua. Potrà generare 6.000 megawatt di elettricità.
Il Sudan e l’Egitto fanno entrambi melina per ritardare il progetto ambizioso del governo etiope. L’Egitto ritiene che la realizzazione dell’infrastruttura sarebbe una catastrofe per la sua agricoltura a causa dell’interruzione del corso d’acqua. E si metterebbe in crisi l’attività di sussistenza di circa 200.000 persone. Il Sudan è mosso da un altro interesse. Il governo vuole ottenere benefici di approvvigionamento elettrico.
In mezzo alla crisi trilaterale c’è l’Unione Africana. Il suo presidente di turno, il sudafricano Cyril Ramaphosa sta negoziando da un anno per evitare un’escalation. Situazione che è peggiorata dopo che il governo dell’Etiopia ha deciso unilateralmente, lo scorso luglio, di iniziare le operazioni di riempimento e ha aperto una crisi con Il Cairo. La conseguenza è stato l’ennesimo stop ai negoziati. Tuttavia, i colloqui stavano per riprendere dopo questi due mesi di stallo. La diplomazia africana era al lavoro per evitare sviluppi pericolosi e trovare una soluzione accettabile da tutti.
Il pasticciaccio diplomatico
L’intervento, direi a gamba tesa, di Trump rischia ora di mandare tutto all’aria e ricominciare daccapo. Il ministro degli Affari Esteri etiope ha infatti convocato l’ambasciatore degli Stati Uniti ad Addis Abeba, Mike Raynor, per chiedere spiegazioni sulle dichiarazioni rilasciate dal presidente Donald Trump. Il dicastero etiope ha fatto sapere che le dichiarazioni di Trump mettono a rischio la lunga partnership e alleanza di vecchia data tra Usa e Etiopia. Addis Abeba, come hanno rilevato alcuni osservatori, paga probabilmente il fatto di avere rifiutato un anno fa la mediazione americana sulla diga, affidandosi all’Unione Africana.
Molto probabilmente la situazione andrà a risolversi nonostante l’uscita spiacevole (e se vogliamo imbarazzante) di Trump. Ciò che pongo all’attenzione è però il fatto che un presidente degli Stati Uniti scivoli su queste bucce di banana. I capi di Stato Usa e la diplomazia americana si sono distinti, nella maggior parte delle volte, per trovare mediazioni nelle crisi internazionali. Washington, fin dalla caduta del Muro di Berlino, ha provato (non sempre ci è riuscita) a costruire un’immagine carismatica di gendarme del mondo ma anche diplomazia del mondo. In altre parole, gli Stati Uniti hanno tentato a ottenere un ruolo di egemonia. Certo sono stati fatti molti errori, come in Iraq e Afghanistan. Ma in parte ci sono anche riusciti. Trump va controcorrente e probabilmente abbassa il livello medio della diplomazia Usa. Se in Medio Oriente porta a casa qualche buon risultato, dall’altra parte del globo fa disastri. Vedremo con le elezioni cosa ne pensano gli americani.