Robert Gilpin è stato uno degli studiosi più importanti di relazioni internazionali. Ha sviluppato un modello tra i più interessanti della teoria generale di politica internazionale.
Come cambia un sistema internazionale? Perché l’equilibrio internazionale a un certo punto comincia a destabilizzarsi? Sono alcune domande a cui i teorici di politica internazionale cercano di dare una risposta. Tra questi Robert Gilpin, politologo americano scomparso nel 2018. La sua celebre opera Guerra e mutamento nella politica internazionale (War and Change in World Politics, Cambridge University Press 1981, in Italia Il Mulino – Bologna 1989) ha sviluppato uno dei modelli più interessanti di Teoria generale della politica internazionale. Gilpin appartiene alla scuola realista degli studiosi di scienza politica. Prima di lui ci sono stati nomi celebri come Hans Morghentau, autore di Politics among Nation, Ernst Haas e poi Kenneth Waltz che di Gilpin fu contemporaneo.
Non si può leggere Gilpin senza avere una conoscenza approfondita della storia delle relazioni internazionali, Gilpin sviluppa un modello indagando su sistemi internazionali diversi tra loro, come quello degli imperi o gli assetti successivi al trattato di Westfalia del 1648. Così si scopre che le forze o le dinamiche che il politologo statunitense fotografa sono le stesse, sotto altre spoglie, di cui scrive in modi diversi un grande storico come Pierre Renouvin. Come non vedere nel suo modello quelle che il grande studioso francese chiama le “forze profonde”? E poi i collegamenti con teorici importanti come Paul Kennedy (Ascesa e declino delle grandi potenze) o il celebre Raymond Aron (Pace e Guerra tra le Nazioni). Insomma per capire come funziona un sistema internazionale occorre avere una fotografia ben chiara delle relazioni internazionali. Da qui si sviluppa un modello di interpretazione che può farci comprendere quando un sistema tra stati può trasformarsi da una situazione di equilibrio a una di tensione e di conflitto.
Torniamo al modello di Gilpin. Il suo studio sviluppa cinque punti (che definisce assunti) che spiegano il comportamento degli Stati nella vita internazionale:
- Un sistema internazionale è stabile, cioè in equilibrio, se nessuno degli stati ritiene vantaggioso mutare quel sistema;
- Uno stato tenta di cambiare il sistema internazionale, e alterare il suo equilibrio, se ritiene che i benefici derivanti dal mutamento superano i costi da affrontare per rovesciare il sistema;
- Uno stato cercherà di cambiare il sistema internazionale attraverso l’espansione territoriale, politica o economica finchè i suoi costi marginali legati al cambiamento non sono uguali o superano i benefici marginali;
- Una volta raggiunto l’equilibrio tra costi e benefici del cambiamento di sistema, i costi per mantenere lo status quo tendono a crescere più velocemente della capacità economica di sostenere lo status quo;
- Il sistema entra così in squilibrio e qualcuno tenterà di cambiare il sistema redistribuire il potere.
Gilpin elabora un modello di ciclo del sistema internazionale con un approccio tipicamente economico come quello dell’analisi costi benefici. Gli attori del sistema internazionale si comportano come se seguissero il calcolo costi benefici di un’azienda. In termini di scenario internazionale significa che l’equilibrio internazionale esiste se gli stati più potenti del sistema ritengono soddisfacente la distribuzione territoriale, economica e politica attuale. I problemi nascono quando uno di questi pensa di potere ottenere maggiori benefici, aprendo la strada al ciclo descritto nei punti precedenti. I costi relativi al mutamento possono però scoraggiarlo.
In sostanza se non ci sono incentivi a cambiare il sistema nessuno proverà a alterare l’equilibrio internazionale. In questo caso si dice che lo status quo è stabile.
Gli Stati manterranno lo status quo del sistema internazionale se lo ritengono legittimo. Il concetto di legittimità lo ha spiegato bene Henry Kissinger (A world restored: Metternich, Castlereagh and the problems of peace 1812-1822, Boston Hougton Mifflin 1957). L’ex professore di Harvard scrive che la legittimità implica l’accettazione di tutte le strutture dell’ordinamento internazionale da parte degli Stati più potenti. Ciò non implica però la fine del rischio di conflitto ma ne limita solo la portata.
Un esempio pratico di questo fu l’ordine internazionale dopo il Congresso di Vienna del 1815. Le potenze dell’epoca lo considerarono legittimo e funzionò per decenni ma crollò sotto il peso delle trasformazioni tecnologiche, economiche e politiche. Non superò insomma la portata del progresso.
Ogni sistema internazionale è quindi caratterizzato da un moto continuo di squilibrio e adattamento. Uno dei meccanismi che causa il mutamento del sistema è storicamente rappresentato dalla guerra. La guerra però è l’ultimo anello di un processo lungo preceduto da altri fattori che destabilizzano il sistema internazionale. Uno di questi è legato al modo in cui cambia il potere degli stati a seguito delle evoluzioni socio-economiche o tecnologiche. Quando Gilpin parla di potere si riferisce alle capacità economiche, tecnologiche e militari di uno stato, superando in questo modo il dibattito acceso sul concetto di potere su cui molto è stato scritto negli studi di scienza politica.
Quando aumenta la differenza di potere, nel modello di Gilpin si passa da una situazione di equilibrio a una di squilibrio. Questo perché un miglioramento di tecnologia o condizioni economiche aumentano la percezione che i benefici marginali possano superare i costi marginali legati al mutamento del sistema.