In questa fase storica gli Stati Uniti sono messi alla prova sulla credibilità internazionale. Il presidente Joe Biden ha davanti diversi fronti di guerra.
Mai come in questa fase storica gli Stati Uniti sono messi alla prova sulla credibilità internazionale. Il presidente Joe Biden si trova ad affrontare diversi fronti di guerra che sembrano fatti su misura per indebolirlo a vantaggio di Donald Trump nella campagna elettorale in corso.
Gli Stati Uniti, e con loro Biden, si giocano tutto sulla capacità di mantenere una credibilità internazionale nello scacchiere mondiale. La questione è di grande importanza perché c’è in palio il ruolo di attore di riferimento nelle zone calde del globo, di ristrutturazione dell’ordine globale, di equilibrio dei rapporti di forza.
Eppure gli Usa stanno assumendo un atteggiamento molto cauto e distaccato, una condotta diplomatica che ricorda quella di Neville Chamberlain della Gran Bretagna del 1936. Sappiamo come finì quell’avventura politica e conosciamo il fallimento della politica dell’appeasement.
Ciò che lascia più il segno dell’attuale politica estera di Biden è l’incertezza. Gli Stati Uniti sono incerti sul proseguimento degli aiuti all’Ucraina, appaiono insicuri sulla gestione degli Houthi, non sanno bene cosa fare con l’Iran ma neanche con Israele. Eppure, la storia insegna che quando la principale potenza sta alla finestra senza intervenire o fare la voce grossa, le altre potenze, grandi o piccole, si sentono legittimate a fare ciò che vogliono.
Se Washington abbandona l’Ucraina, ci sarà in Europa un effetto Afghanistan amplificato. Il ritiro da Kabul nell’estate 2021 ebbe, come sappiamo, effetti devastanti in tutta la regione euro-asiatica oltre che nello stesso Afghanistan.
Il messaggio che si trasmette in questi casi è che non si può fare affidamento sulla potenza americana, creando un effetto domino del “si salvi chi può” e stimolando gli appetiti di espansione di altri Stati.
Ucraina e Afghanistan non sono i soli esempi di una retromarcia, o possibile rinuncia, dell’impegno americano. E’ avvenuto anche in Medio Oriente con Barack Obama e Donald Trump. Il disimpegno Usa si è toccato con mano nella crisi siriana e irachena durante gli anni difficili dello Stato Islamico. E’ in questa fase che la Russia aumenta pian piano la propria influenza nella regione mesopotamica, quasi sostituendo Washington. E’ in questi anni che la Turchia fa una rocambolesca virata dal fronte occidentale verso Vladimir Putin e l’Iran dell’Ayatollah Khamenei.
Soprattutto, Joe Biden rischia grosso sulla guerra nella striscia di Gaza. Il supporto al limite del “senza se e senza ma” al governo israeliano mette in difficoltà la credibilità di Washington verso i palestinesi. Come fa il presidente Usa a essere credibile quando continua a parlare di soluzioni due popoli e due stati? Certo nessuno mette in dubbio la condanna degli atti compiuti dai terroristi di Hamas il 7 ottobre 2023. Occorre però anche una condanna della rappresaglia eccessiva e sproporzionata di Israele, prendere le distanze da certe affermazioni di ministri di Benjamin Netanyahu e dello stesso premier che stanno mettendo la pietra tombale su ogni possibilità di realizzare uno Stato di Palestina. Dalle risposte a queste domande gli Stati Uniti mostreranno come affrontano la messa in prova sulla loro credibilità internazionale.