Stati Uniti e Cina verso un accordo valutario

In arrivo un accordo valutario tra le due potenze. Trovata un’intesa sui punti chiave dei mercati valutari.

Usa e Cina sempre più vicine a un accordo valutario. Una prospettiva poco gradita ai falchi dentro il Congresso degli Stati Uniti e nell’amministrazione di Donald Trump. Perché un successivo accordo commerciale potrebbe contenere poche restrizioni al controllo cinese sulla forza della propria valuta.

Cina e valuta

Il controllo della Cina sul valore della moneta è stato un motivo di conflitto tra il governo di Pechino e l’Occidente, anche se la crisi si è accentuata di più negli ultimi anni. I governi degli Stati occidentali hanno sempre contestato alla Cina di avere svalutato la propria moneta, il Renmimbi, rispetto al dollaro americano e a altre valute. E in questo modo hanno avvantaggiato imprese e società cinesi nella vendita di beni e servizi all’estero.

La Cina ha sempre negato queste accuse. Il governatore della Banca Centrale cinese, Yi Gang, ha detto nel corso di una conferenza stampa a Pechino che durante i negoziati commerciali di alto livello tenuti a Washington lo scorso mese “le due parti hanno trovato un’intesa su alcuni punti chiave e fondamentali” dei mercati valutari.

Su cosa si basa questa intesa?

Prevede, secondo Yi Gang, che Stati Uniti e Cina rinuncino a svalutazioni per raggiungere vantaggi competitivi nelle esportazioni. Inoltre, entrambi i Paesi continueranno a rispettare gli accordi sulla valuta stabiliti nell’ambito del G20.

La guerra commerciale tra Cina e Usa ha abbassato del 10% il valore del renmimbi rispetto al dollaro americano tra febbraio e ottobre 2018. Dalla fine di ottobre però la valuta cinese ha recuperato quasi metà del suo valore, stimolando gli investitori stranieri a riversare denaro nei mercati di capitali e obbligazionari della Cina.

Accordo commerciale e Accordo di Shanghai

L’accordo commerciale in via di definizione tra Washington e Pechino riaffermerà probabilmente la dichiarazione di principi approvata dalle economie del G20 a Shanghai nel febbraio 2016. Nell’accordo valutario di Shanghai, tutti i ministri delle finanze dei 20 Paesi concordarono che nessuno avrebbe svalutato la propria moneta con l’intento di avere vantaggi competitivi per il proprio export.

Quando la valuta di un Paese crolla, i suoi prodotti diventano economicamente più vantaggiosi sui mercati esteri. Ma l’accordo di Shanghai permetteva alle valute di fluttuare in alto e basso in alcuni casi. Tra questi quando esistevano forti differenze nei tassi di interesse, investimenti fluttuanti, surplus commerciali e deficit.

Inoltre, l’accordo di Shanghai non obbliga la Cina a legare la sua valuta a un valore specifico rispetto al dollaro. E neppure richiede alla Cina di mantenere la stabilità del valore della sua moneta rispetto alla media del valore delle valute dei partner commerciali di Pechino.

L’accusa degli americani alla manipolazione cinese della propria moneta risale al periodo incluso tra il 2001 e il 2014. E’ quando la banca centrale cinese vendeva renmimbi per comprare dollari, tenendo la propria valuta debole al fine di aiutare gli esportatori. Da allora, i funzionari cinesi si sono invece impegnati per impedire che il renmimbi venisse svalutato.

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