Poeti rock, folk-singer e country-ballad hanno raccontato le strade d’America. Perché il viaggio in strada attrae così tanto il rock?
La strada, il rock, il viaggio. E un destino comune. Poeti rock, folk-singers e country-ballads hanno raccontato le strade d’America. Polverose e dall’asfalto rovente. Le highway e le route sono le icone del viaggio americano. Il punto d’arrivo poco importa. L’emozione è tutta nell’essere on the road, nello spostamento con auto o moto simbolo di un nomadismo moderno che ha attratto e continua a attrarre generazioni.
C’è tutta una storia diversa e di controcultura nella strada americana. A aprire la porta fu Jack Kerouac. Prima ancora John Steinbeck, Ernest Hemingway, Francis Scott Fitzgerald. I mostri sacri della letteratura made in Usa sono arrivati prima di cantautori, fricchettoni e rockettari. Ogni tanto capita.
Perché il viaggio in strada attrae così tanto? Per l’esperienza emotiva che offre. Attraversare le migliaia di miglia di un territorio fa volare la mente. Solo chi ha provato capisce cosa intendo. C’è una sensazione e un respiro di libertà e di riprendersi in mano la vita impercettibile in altre situazioni. Lontani da casa, senza alcun punto di riferimento, il viaggio on the road ti coinvolge e ti afferra. Facendoti sentire come piccolissima parte di un mondo immenso. E si respira la brezza della solitudine. Si è soli nella natura. Si è soli nelle grandi città (le “empty roads” di Bruce Springsteen in Hello Sunshine nell’album Western Stars).
Paesaggi strepitosi che riaprono ricordi nostalgici o risvegliano antiche malinconie. Cieli rossi come nei vecchi film western di John Ford. La riflessione davanti agli oceani che bagnano le coste. Tutto materiale ottimo per chi fa musica e deve mettterci le parole.
Lo sapeva bene Woody Guthrie nei suoi vagabondaggi con chitarra nelle zone agricole depresse del mid-west. L’autore della celebre This land is your land, diceva di scrivere le cose che ha visto da qualche parte e in posti lontani. Imparò da giovanissimo a suonare chitarra, armonica a bocca e mandolino. Fu il primo tambourin man americano, uno che faceva il giramondo sul serio e a piedi cantando le storie della working class americana.
Si spinse oltre Johnny Cash. Le sue songs sanno di film western, strade polverose con i ranch confinanti. Oppure il sogno di prendere una Cadillac e andare via. Dal Kentucky passando per Detroit. E c’è malinconia sulla strada di Cash. Per qualcosa o qualcuno. Saprai che sono io quando attraverserò la tua città … canta in One piece of a time.
Molto simile se vogliamo Bruce Springsteen, il re delle road song. Nella musica e nella vita. Il Boss racconta nel suo libro gli innumerevoli on the road coast to coast. In auto, moto, furgone. La strada come luogo in cui ci ritroveremo. Come nella bellissima Further on up the road: Una mattina di sole ci alziamo lo so… e ti incontrerò più avanti lungo la strada. O la pazzia e voglia di correre lungo la strada. Come in Racing in the Streets.
Da Springsteen a Elliot Murphy. Quest’ultimo un cantautore con un timbro e stile più da Jeff Beck. Comunque una grande chitarra e un grande scrittore. Non ai livelli di Springsteen, ma poco ci manca. Anche in lui la strada e il viaggio diventano bussole di vita. Un album scritto e raccontato tra Europa (c’è anche l’Italia), Usa e Australia. E’ lo straordinario 12, un doppio album acustico. Auto, pensieri, città al tramonto. Ascoltate On Elvis Presley birthday.
Infine Bob Dylan. Con il suo racconto pessimista e noir di Highway 61 Revisited. Dove vuoi che venga fatto questo omicidio? Dio ha detto: Fuori sulla Highway 61″. Infine i mitici Canned Heat con l’inno alla strada: On the road again. Sono sulla strada di nuovo. Come loro anche tutta la generazione rock: dal garage al punk, dal paisley underground all’alternative country.
La strada, il viaggio e il rock, per tornare all’inizio, sono simboli di libertà. Ma anche di movimento. E il movimento è libertà. Ci rivedremo tutti lungo la strada.