Perché l’Italia sostiene la via della seta cinese

Il Financial Times rivela la volontà italiana di firmare un memorandum con la Cina. Perché l’Italia sostiene la via della seta cinese?

Perché l’Italia sostiene la via della seta cinese? L’articolo pubblicato dal Financial Times riporta che Roma firmerà il Memorandum con la Cina il prossimo 22 marzo quando il presidente Xi Jinping visiterà l’Italia. Sarebbe il primo Paese del G7 a entrare in quella che è conosciuta come via della seta (Belt and Road Initiative- Bri). La notizia non è passata inosservata a Washington. Il quotidiano economico scrive delle preoccupazioni negli ambienti americani soprattutto per l’apertura italiana agli investimenti cinesi. Un’apertura che avrebbe provocato una divisione nella squadra di governo, accentuata anche dal rimprovero americano. E’ stato il sottosegretario allo sviluppo economico Michele Geraci a passare l’informazione al Financial Times, come rivela lo stesso quotidiano. E proprio un altro leghista, il deputato Guglielmo Picchi, ha reso noto con un tweet che sarebbe inopportuno procedere con la firma in questo momento.

Cos’è la via della seta

La Bri prevede la creazione di una rete di infrastrutture per sostenere e agevolare il commercio estero della Cina. Si tratta di un corridoio che si sviluppa per circa 10.000 km attraverso mari, fiumi e terra, percorrendo gli itinerari seguiti da cinesi e romani nell’antichità per i propri commerci. Il percorso collega l’Asia orientale all’Europa, attraversando l’Asia centrale, l’Asia minore, il Medio Oriente e il Mediterraneo.

La mappa della via della seta
La mappa della via della seta

Perché l’Italia sostiene la via della seta cinese

Roma guarda principalmente alle prospettive commerciali che si potrebbero aprire grazie al progetto di Pechino. La Cina ci mette oltre 40 miliardi di dollari per realizzare strutture di collegamento commerciale come ferrovie, ponti, porti in continenti diversi. Secondo il Financial Times sono più di 150 gli Stati che hanno già firmato convenzioni e partnership con i cinesi per sostenere la Bri. La politica estera italiana si muove quindi su una prospettiva di sviluppo economico. L’interesse nazionale italiano coincide con l’espansione commerciale del made in Italy sui mercati orientali, dal Medio Oriente all’estremo Oriente. Il che significa anche estendere la propria influenza in un’area del mondo, quella orientale, lontana dalla tradizionale regione, storicamente ambita dall’Italia, come il Mediterraneo.

L’asse geopolitico

Va valutato se il rinnovato interesse nazionale italiano è compatibile con quello degli alleati europei e americani. Usa e Ue non hanno gradito la posizione di Roma. Entrambe vedono nella via della seta cinese l’escamotage di Pechino per estendere la sua influenza economica nel mondo. I benefici, spiegano alla Casa Bianca, arriveranno solo per la Cina e non per l’Italia. L’adesione di Roma, dicono a Washington, rischia pure di rovinare la reputazione internazionale italiana. Eppure autorevoli istituti americani sostengono che la via della seta farà aumentare i vantaggi per gli imprenditori. A Bruxelles sono ancora più preoccupati. La scelta unilaterale italiana può vanificare ogni sforzo europeo di raggiungere una posizione comune sugli investimenti cinesi nel vecchio continente. In realtà, già la Grecia, il Portogallo e l’Ungheria hanno aderito. Non si capisce perché l’Italia non dovrebbe. E neppure perché Francia e Germania fanno beatamente quello che desiderano, dando per scontato che gli altri si adegueranno. Ora il loro trascinamento viene sempre meno. Chi è causa del suo mal…

 

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