Il generale Haftar ha accettato il cessate il fuoco richiesto da Putin e Erdogan a Istanbul. Vittoria della diplomazia russa. Il ruolo chiave dell’Italia.
Il generale Khalifa Haftar ha accettato il cessate il fuoco richiesto da Vladimir Putin e Recep Tayyp Erdogan nel loro incontro a Istanbul lo scorso 5 gennaio. L’annuncio del via libera alla tregua da parte dell’esercito di Bengasi è arrivato alla vigilia del 12 gennaio, la data fissata dai presidenti di Russia e Turchia in cui doveva scattare lo stop alle armi.
Perché il generale Haftar ha accettato il cessate il fuoco dopo la dura offensiva lanciata lo scorso aprile e gli attacchi a Sirte e Tripoli delle ultime settimane?
A far mollare la presa al leone di Bengasi è stato il pressing diplomatico della Russia, uno dei principali sponsor dell’esercito di Haftar insieme a Egitto e Emirati. La politica di Putin porta a casa un altro successo, in questo caso nel cuore del Mediterraneo, scavalcando il ruolo dell’Unione Europea che appare assente in tutta questa crisi.
Russia e Turchia, alleate di convenienza in Siria, sono divise sul fronte libico. La prima, come detto, sostiene il governo di Bengasi che controlla la Libia orientale. La seconda appoggia il governo internazionalmente riconosciuto di Tripoli, guidato dal presidente Feisal al-Serraj, che ha accettato fin da subito il cessate il fuoco.
I due presidenti, Putin e Erdogan, hanno lanciato l’appello a uno stop alle armi a partire dal 12 gennaio. Haftar non ha dato segni di resa e ha continuato l’aggressione militare al governo di Tripoli. Poco dopo, all’improvviso, l’annuncio di accettare il cessate il fuoco. Si tratta di un’accettazione “condizionata”, cioè subordinata al fatto che nessuno violi la tregua. Il riferimento è alle segnalazioni circolate in questi giorni di spari e violazioni del rispetto a non usare le armi.
Il lavoro diplomatico dei russi in questa circostanza è stato importante. Mosca ha convinto Haftar, non sappiamo con quali argomenti, a fermarsi. Sicuramente il Cremlino avrà una contropartita politica per il suo lavoro. Insieme alla Turchia possono spartirsi zone di influenza in Libia. Di fatto, Putin e Erdogan stanno dando una spallata all’Italia e all’Europa e sostituendosi a esse.
In gioco c’è la partita energetica. L’Eni controlla i giacimenti più importanti. La francese Total, che voleva sostituirsi all’Eni con l’aiuto di Emmanuel Macron, è fuori dagli schemi. Per capire questo occorre pensare che a Istanbul Putin e Erdogan non hanno solo parlato di cessate il fuoco. Hanno anche sottoscritto il trattato sul Turkish Stream, il grande gasdotto che si collega all’Europa. E’ facile guardare alle connessioni di interessi tra gasdotto e influenza nel Mediterraneo.
Un buon risultato diplomatico lo porta a casa l’Italia di Giuseppe Conte. La diplomazia romana ha dato un grande contributo alla soluzione della crisi, un impegno che permette all’Italia di tenere i piedi ben saldi in Libia e conservare la propria credibilità e autorevolezza agli occhi delle parti libiche.
Il premier Conte e il Ministero degli Esteri hanno giocato la partita di incontrare entrambi i leader, prima Haftar e poi al-Serraj, proponendo l’Italia come mediatore terzo interessato a trovare una soluzione condivisa da tutti. E’ stata determinante anche la scelta del governo di partecipare all’incontro al Cairo insieme a Paesi tutti pro-Haftar. Il ministro degli esteri Luigi Di Maio ben ha fatto a non firmare la dichiarazione finale. Un segnale di rispetto verso Tripoli, che l’Italia sostiene, senza prendere troppo le distanze da Haftar.
Ora nella partita libica la Russia e la Turchia non possono escludere l’Italia. Tanto è vero che nasce una trilaterale Roma-Ankara-Mosca sulla Libia. Conte diventa così il collegamento per l’Europa sulla crisi in Libia.