Mali d’Africa. Gli autori del golpe addestrati dagli Stati Uniti

Ha senso addestrare eserciti stranieri in Paesi dall’instabilità politica e fragilità democratica? E’ meglio formare prima istituzioni forti e governance stabili e poi le forze armate?

Parto dal Mali per ragionare su una questione dalla portata molto più ampia. Il magazine americano Foreign Policy riporta che diversi ufficiali delle forze armate, che hanno orchestrato il colpo di Stato in Mali, sono stati addestrati dagli Stati Uniti. Tra questi anche Assimi Goita, leader della ribellione e a capo del governo provvisorio che ha sostituito il presidente deposto. Goita, secondo quanto riporta un’inchiesta del Washington Post, ha partecipato a corsi di addestramento e formazione militare condotti da personale americano, prendendo parte anche a esercitazioni militari. Il Pentagono stava formando i militari in Mali per combattere contro i jihadisti operativi nel Sahel. Così come la Francia. Ora Washington ha bloccato tutti i programmi di addestramento e formazione previsti per l’esercito del Paese africano. La questione riapre un vecchio dibattito: i programmi di addestramento militare vanno o no condotti insieme a percorsi di democrazia e governance capability? Ha senso l’addestramento militare senza la certezza di una stabilità politica? Sia ben chiaro che non è mia intenzione mettere in dubbio l’importanza strategica e il valore dei programmi di addestramento militare. E neppure la buona fede dei governi. Non è questa la questione. La domanda è come fare per evitare che questi programmi si rivoltino contro i buoni propositi dei paesi finanziatori. Più volte abbiamo visto come la sola formazione delle capacità militari senza una stabilità politica ha portato al fallimento di un progetto. La Siria ne è l’esempio più lampante. Qual è la via d’uscita?

 

 

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