A fine ‘800 l’Italia tenta l’avventura coloniale in Somalia. Il campo d’azione della politica estera è in Africa orientale. Vediamo cos’è successo.
Nell’ultimo ventennio del XIX secolo la politica estera italiana tenta l’avventura coloniale. Il campo d’azione dei governi italiani è principalmente l’Africa orientale. Sulla campagna d’Etiopia e Eritrea e il “confuso trattato di Uccialli”, su Dogali e su Adua abbiamo già scritto in questo post. Parliamo adesso invece dell’avventura coloniale dell’Italia in Somalia a ridosso del XX secolo.
In questa regione dell’Africa orientale, l’attività italiana si rafforza sul finire del secolo grazie a una serie di trattati che riconoscono il protettorato dell’Italia su diverse zone della penisola somala, al tempo conosciuta come Benadir.
Tra gli accordi più importanti ci sono quello con il sultano di Zanzibar nell’ottobre del 1885, con il sultanato somalo di Obbia nel febbraio 1889, con i Migiurtini (un sultanato somalo nella parte centro-settentrionale) nell’aprile 1889. Il governo di Roma negozia i trattati con sovrani locali, in particolare con il sultano di Zanzibar che possiede le zone costiere somale e, infine, con la compagnia britannica dell’Africa orientale.
Quando nel 1890 la Gran Bretagna proclama il protettorato britannico sul sultanato di Zanzibar, Roma chiede al governo di Londra quattro porti somali: Mogadiscio, Brava, Merca e Uarscheich. Dopo diversi negoziati tra inglesi e italiani, Downing Street cede tutti e quattro i porti a Roma, grazie a una convenzione tra Italia e Zanzibar firmata il 12 agosto 1892.
In un protocollo italo-zanzibarita del maggio 1893, il sultano si impegna a riconoscere la cessione definitiva all’Italia dei porti se entro tre anni il governo romano occupa e dimostra la sovranità italiana sui territori ceduti in Somalia.
La conduzione di questi negoziati porta la firma del console italiano a Zanzibar. Si chiama Antonio Cecchi. Marchigiano di Pesaro, è un capitano della Regia Marina Italiana. Cecchi ha una grande esperienza in Africa dove ha partecipato a diverse spedizioni militari. Nel 1885 è a Massaua dove combatte per la conquista dell’Eritrea italiana. Qualche anno dopo il governo italiano lo nomina prima console a Aden e poi a Zanzibar che, come già scritto, controlla larghe parti della regione somala. Il capitano Cecchi svolge anche un’azione di sensibilizzazione sull’opinione pubblica (oggi diremmo comunicazione) in Italia. Spiega come il possesso della Somalia sia un investimento che porta vantaggi commerciali e economici al Paese, peso politico e influenza nello scacchiere orientale africano.
Un destino ironico gli fa lo sgambetto. Cecchi torna in Somalia per convincere i capi somali dei diversi potentati sui propositi di pace e le opportunità di sviluppo che il protettorato italiano può portare. Qualcosa però va storto. E Cecchi è trucidato con la sua spedizione il 25 novembre 1895 a Lafolè, nei pressi di Mogadiscio. Con lui muoiono i comandanti Francesco Mongiardini e Ferdinando Maffei.
L’eccidio scuote il mondo politico italiano e l’opinione pubblica. In tutto sono 14 i marinai che perdono la vita. Qualche mese dopo un altro scossone arriva con la sconfitta italiana a Adua. A Roma nessuno lo dice ma sono in tanti a chiedersi che ci stiamo a fare in Africa?
Il grattacapo coloniale viene congelato da quella che è chiamata la “politica di raccoglimento” e prevede: “conservazione dell’Eritrea, rinuncia all’Etiopia”, presenza in Somalia”. E’ il principio seguito fino alla prima guerra mondiale. Poi Roma cambierà ancora passo.