La politica estera dell’Italia cambia rotta sulla Libia. Aiuti medici ai militari di Haftar e riapertura del consolato di Bengasi.
L’Italia cambia rotta sulla Libia. La diplomazia del governo italiano sembra andare in questa in direzione. Sono molti i segnali che fanno pensare a una nuova politica estera italiana. Roma orientata a dare sostegno alla Cirenaica, controbilanciando il potere della Tripolitania.
Serraj o Haftar?
Il premier Giuseppe Conte e la sua compagine governativa si stanno spostando verso il generale Khalifa Haftar, l’uomo forte di Bengasi capitale della Cirenaica. Haftar è l’artefice dell’aggressione militare contro il governo internazionalmente riconosciuto (Italia inclusa) di Feisal al-Serraj, insediato a Tripoli.
Scrive oggi il Corriere della Sera che la diplomazia italiana sta rivedendo le sue posizioni in Libia. Le aperture fatte da Conte durante il vertice di Pechino sulla nuova Via della Seta non sono di poco conto. Il Presidente del Consiglio ha fatto intendere che la riapertura del consolato italiano a Bengasi è una questioni di giorni. Inoltre, ha offerto l’invio di aiuti medici per i militari di Haftar. Un’apertura che per il governo della Cirenaica è un cambio di passo notevole. A Bengasi hanno sempre criticato la politica di Roma per avere inviato oltre 200 militari a salvaguardia dell’ospedale militare italiano di Misurata. Qui vengono curati i miliziani che stanno difendendo Tripoli. Le Brigate di Misurata nel 2011 hanno contribuito a rovesciare il colonnello Muhammar Gheddafi.
L’intreccio mediterraneo tra migranti e terroristi
Le rivelazioni del premier sono emerse durante i colloqui a Pechino con il presidente egiziano Abdel Fattah al-Sisi e quello russo Vladimir Putin. Entrambi hanno un’influenza molto forte sul generale libico. Al Sisi è uno degli sponsor più forti di Haftar. Insieme a lui anche l’Arabia Saudita e gli Emirati.
Il presidente egiziano, ha spiegato lo stesso Conte, è profondamente preoccupato per l’immigrazione dalla Libia all’Egitto di rifugiati, ma soprattutto di terroristi. Non è un mistero che molti jihadisti in fuga da Siria e Iraq siano arrivati in Libia per dirigersi in Europa. E in Egitto a sostegno dei Fratelli Musulmani. Sono le stesse preoccupazioni italiane. L’instabilità persistente nel Paese nordafricano rischia di spingere migliaia di persone a fuggire sui barconi attraverso il Mediterraneo e a esportare terroristi. Da qui la tentazione di fare sentire la vicinanza italiana a Bengasi e ai suoi sponsor. Un cambio di rotta che già Donald Trump ha attuato qualche settimana fa, annunciando il sostegno Usa alla Cirenaica.
Roma e Haftar
Roma segue e osserva attentamente Haftar da tempo. Nell’agosto 2018, il governo italiano decise di sostituire il suo ambasciatore a Tripoli, Giuseppe Perrone, a seguito delle forti critiche di Haftar verso il diplomatico italiano per un’intervista rilasciata a una televisione libica. A settembre 2018, il Ministero degli Esteri fece di tutto pur di avere il Generale al tavolo della Conferenza di Palermo sulla Libia. Ora però la diplomazia italiana dovrà mostrare doti di equilibrismo non indifferenti. Sostenere Haftar senza mettere in crisi il rapporto con Serraj, sostenuto dall’Onu e dalla comunità internazionale, e tenere buoni i rapporti con Egitto, Russia, Arabia Saudita e Emirati. Forse occorre un Richelieu italiano.