Le cinque fasi della politica estera italiana

Le fasi della politica estera italiana secondo un grande storico e teorico delle relazioni internazionali.

Partiamo da un libro fondamentale: “La politica estera di una media potenza”. E’ lo studio approfondito del professor Carlo Maria Santoro, compianto docente di relazioni internazionali alla facoltà di scienze politiche dell’Università degli Studi di Milano. L’opera, tra le migliori nella produzione bibliografica storica, analizza la politica estera italiana nei diversi periodi della sua storia.

Santoro divide in cinque fasi la politica estera italiana.

La prima fase è quella che va dal 1848 al 1870. Siamo nel pieno Risorgimento e nel percorso di formazione dello Stato unitario. E’ il momento storico in cui l’Italia è più vicina alla Francia. Il Regno di Savoia è tra i motori trainanti dell’unificazione. Piemonte e Francia prima, Regno d’Italia e Francia dopo il 1861 trovano una convergenza di interessi destinata a saldare una relazione che dura fino al 1870. La breccia di Porta Pia e la presa di Roma, con la conseguente fuga del Papa in Vaticano, romperanno il rapporto franco-italiano per circa 30 anni. La Francia si faceva garante e protettrice del Papa e non poteva accettare l’azione italiana a Roma. La politica italiana di Cavour e della “destra storica” è intenta a rafforzare l’intesa con i cugini d’oltralpe in chiave antiaustriaca. L’abilità diplomatica di Cavour prima e dei suoi successori porta il governo italiano a una guerra con l’Austria sotto la protezione dell’ombrello francese. Da quel conflitto, l’Italia ottiene il Veneto.

La seconda fase è quella che copre il periodo dal 1870 al 1896. In termini storici significa dalla presa di Roma, ma anche dalla sconfitta francese nella guerra con la Prussia, fino alla tragedia di Adua, in Africa. Sono gli anni che vedono la transizione politica dalla destra alla sinistra storica con il governo di Agostino Depretis. E’ il 1876 e la rotta della politica estera italiana si sposta verso Berlino e Vienna. La diplomazia italiana vede nel “triplicismo” (termine che richiama la Triplice Alleanza firmata nel 1882 con Germania e Austria-Ungheria) la nuova bussola della sua politica estera. Ma sono anche gli anni dell’avventura coloniale africana, cominciata male a Amba Alagi e finita ancora peggio a Adua nel 1896 in Etiopia.

La terza fase è quella del cosiddetto imperialismo italiano che parte proprio dalle imprese coloniali di Francesco Crispi (il presidente del Consiglio dei Ministri) e arriva alla fine della prima guerra mondiale e all’avvento del fascismo nel 1922. Sono quasi 30 anni nei quali la politica estera italiana cambia ancora rotta. Abbandona gradualmente il triplicismo (il celebre giro di valzer con un altro ballerino definito dal cancelliere tedesco von Bulow) per spostarsi nel campo di un’altra triplice che sancisce l’intesa tra Gran Bretagna, Francia e Russia. Il perimetro del terreno diplomatico italiano circoscrive dunque nuovi orizzonti. Soprattutto nel primo conflitto mondiale nel quale l’Italia partecipa contro i vecchi alleati. Arrivò Versailles con le conquiste territoriali poco soddisfacenti e la “vittoria mutilata”, espressione che indicava la mancata annessione di Trento e Trieste, dei territori jugoslavi abitati da italiani. L’Italia sedeva insomma al tavolo delle grandi potenze ma era pur sempre una media potenza.

La quarta fase è quella del fascismo con la sua ascesa nel 1922 e il declino tra il 1943 e 1945. La caratteristica principale la spiega bene lo storico e studioso David Baldwin nel suo celebre studio Power analysis and World Politics pubblicato sulla rivista World Politics nel 1979. Seguendo la teoria del professore di Princeton la guerra mondiale aveva conferito all’Italia una posizione di potenza “potenziale” molto più alta di quanto in realtà fosse la sua potenza effettiva. Questa teoria si mostrò subito vera nelle avventure neo-coloniali italiane come in Abissinia, ma anche nella seconda guerra mondiale. In questi anni la politica estera italiana si trasforma da quella di un Paese che vuole essere competitivo alla Germania nazista in quella di un Paese completamente subalterno a Hitler che non ha obiettivi ben definiti di politica estera.

La quinta fase è quella che comprende il periodo post-bellico fino a fine secolo. E’ quello dell’Italia repubblicana, che affronta la guerra fredda scegliendo lo schieramento di campo della Nato e barcamenandosi tra atlantismo e ostpolitik ambita quest’ultima dalle forze comuniste.

Per chi volesse approfondire: Carlo Maria Santoro, La politica estera di una media potenza. L’Italia dall’unità a oggi. Edizioni Il Mulino 1991.

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