La debolezza della diplomazia palestinese

La diplomazia palestinese deve rinnovare il proprio progetto politico per la sopravvivenza del processo di pace e della soluzione dei Due Stati.

La debolezza della diplomazia palestinese mette in crisi un processo di pace già in corso di trasformazione a causa dell’accordo del secolo dell’ex presidente Usa Donald Trump. 

Nell’ultimo anno, la Casa Bianca ha lavorato per normalizzare le relazioni tra lo Stato israeliano e gli Emirati Arabi Uniti, Bahrein, Sudan, Marocco. Probabile che in un prossimo futuro anche l’Oman compia lo stesso passo. Diversi analisti prevedono un’apertura verso Israele anche dall’Arabia Saudita. Altri Paesi arabi intrattengono da tempo relazioni commerciali con Israele. Egitto e Giordania hanno normalizzato le loro relazioni con Israele rispettivamente nel 1979 e 1994.


Le conseguenze dell’accordo del secolo

Questo nuovo quadro di alleanze e relazioni amichevoli dello Stato israeliano mette in crisi il ruolo dell’Autorità Nazionale Palestinese (Anp). Indebolisce la stessa causa di uno stato autonomo di Palestina. Fa perdere efficacia anche all’idea di un panarabismo in funzione anti-israeliana.

I Paesi arabi hanno infatti sacrificato la questione palestinese nel nome dei propri interessi nazionali. Al Marocco per esempio è bastato il riconoscimento americano della sua sovranità sul Sahara occidentale per far crollare il muro dell’ostracismo anti-israeliano e normalizzare le relazioni con Tel Aviv. Il Sudan ha accettato la normalizzazione in cambio dell’abbattimento delle sanzioni Usa. Gli Emirati Arabi Uniti hanno scambiato il riconoscimento di Israele con l’avanzata tecnologia bellica degli Stati Uniti.

L’appello storico anti-israeliano di un fronte panarabo “dall’Oceano Atlantico all’Oceano Indiano” diceva di non fare concessioni a Israele sulla questione palestinese. A condizione che non si tornasse ai confini esistenti prima della guerra del 1967 (guerra dei sei giorni). Questo principio è stato messo da parte dagli stessi Paesi arabi, indebolendo il potere contrattuale dell’Anp nel percorso di pace avviato quasi trent’anni fa con gli accordi di Oslo (20 agosto 1993) e con quelli di Washington (13 settembre 1993).

L’isolamento internazionale dei palestinesi rafforza la posizione di Israele nei negoziati con l’Anp. Come scrivono Hussein Agha e Ahmad Samih Khalidi su Foreign Affairs di marzo/aprile 2021, l’ondata di normalizzazione dà pochi incentivi a Israele a cercare soluzioni per fare la pace con i palestinesi. Forse, il senso attuale della complicata questione arabo-israeliana sta tutta dentro questa riflessione dei due autori. C’è in queste parole il concetto di un nuovo status quo in corso di formazione in Terra Santa, accelerato dagli accordi israeliani con gli Stati arabi. Una nuova condizione che aumenta la frustrazione palestinese.


Diplomazia palestinese in crisi

In questo contesto, l’Anp deve lavorare duramente per riacquistare il suo potere contrattuale verso Israele. Deve anche riflettere su come ribaltare a proprio favore i nuovi assetti di equilibrio territoriale. Il lavoro svolto in oltre 50 anni dall’Organizzazione per la Liberazione della Palestina (Olp) rischia di essere spazzato via dagli errori politici della dirigenza dell’Autorità Nazionale Palestinese.

Fondato nel 1964 e guidato da Yasser Arafat dal 1969, l’Olp ha avuto come tutti i movimenti di liberazione e indipendenza nazionale i suoi aspetti positivi e negativi. Operazioni armate violente e terroristiche da un lato, ma anche dall’altro la capacità di formare un senso di identità nazionale e di destino comune tra i 13 milioni di palestinesi che vivono attualmente nei territori occupati della West Bank e in esilio. Il merito di avere formato un senso di coscienza nazionale, di provare a chiedere una sovranità nazionale e di avere una buona governance va, che piaccia o meno, al lavoro in decenni dell’Olp.

L’errore della diplomazia palestinese sta in parte nella reazione di rabbia alla normalizzazione tra Israele e Stati arabi. I vertici dell’Anp hanno accusato le leadership politiche arabe di avere tirato una pugnalata nella schiena alla Palestina.

Questa posizione è però difficilmente sostenibile dal momento che nel 1988 l’Olp ha riconosciuto lo Stato di Israele e avviato un percorso di pace che dura da quasi trent’anni. Inoltre, l’Anp ha fatto una cosa simile a quella degli Stati che hanno normalizzato le loro relazioni con il governo israeliano. Ha accettato di coordinare la propria sicurezza con Israele. Così, diventa difficile criticare altri Paesi che si affidano alla garanzia reciproca della loro sicurezza.


Il fallimento della diplomazia palestinese

Sono queste alcune ragioni che segnano il fallimento della diplomazia palestinese. Va aggiunto che in questo contesto complicato si assiste all’erosione progressiva dell’Olp, non più in grado di rappresentare l’intera Palestina e senza più quella credibilità di organo decisore che ha avuto fin dal 1964.

La credibilità dell’Olp perde valore anche davanti al principio della soluzione dei due Stati, che la stessa Organizzazione ha messo nel suo programma politico, ma che è contraddetto dallo statuto costitutivo del movimento in cui si nega la divisione del territorio palestinese.

L’Olp non rappresenta tutta la società palestinese. E’ nato come forum di incontro e di decisione tra le diverse fazioni palestinesi. Queste non sono tutte lo specchio della società palestinese. Per esempio Hamas, che controlla Gaza, e altri gruppi islamici non hanno seggi all’interno dell’Organizzazione. Ogni gruppo ha delle quote a cui corrispondono  seggi negli organi decisionali. Il sistema però è arcaico e rispecchia il sistema palestinese degli anni ’60. Alcune fazioni erano appoggiate dai Paesi arabi e ora non esistono più. Però continuano a conservare gli stessi seggi di allora. Vale la pena dire che i palestinesi oggi hanno bisogno di un nuovo strumento di rappresentanza, che rifletta la realtà presente e le prospettive future.

Da quando l’Olp e Israele firmarono gli accordi di Oslo nel 1993, l’Organizzazione di Arafat ha avuto sempre più un ruolo marginale, lasciando all’Autorità Nazionale Palestinese la posizione di centro di gravità politica. L’Olp si è sempre più ridotto a una “figura di Zombie” come scrive Foreign Affairs. I ruoli di Olp e Anp si sono mescolati. In realtà, per rimettere ordine e ristabilire le posizioni l’Anp dovrebbe tornare a svolgere funzioni amministrative mentre l’Olp dovrebbe tornare a essere il rappresentante dei palestinesi.


Queste considerazioni mettono in evidenza che la diplomazia palestinese deve ripensare alla sua strategia per rilanciare la questione palestinese e il negoziato per la creazione di uno Stato di Palestina. Le azioni e le strategie messe in campo negli ultimi decenni non funzionano più. Le leadership devono rinnovarsi e promuovere strategie più innovative per affrontare negoziati complessi in un mondo che è profondamente mutato. La soluzione dei Due Stati, opzione che Joe Biden e l’Unione Europea intendono sostenere, va rivista in logiche nuove e accettabili dagli interlocutori che non sono più solo Israele e gli Stati Uniti ma anche i Paesi arabi. Se a Ramallah non aprono un confronto e una discussione su questo, lo Stato di Palestina resterà un sogno.

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