La Cina fa avvicinare Stati Uniti e India

Washington e Nuova Delhi hanno sempre più bisogno l’uno dell’altra. L’ascesa della Cina sul palcoscenico mondiale rende più vicini i due grandi Paesi.

Il 15 dicembre 1971 il mondo si risvegliò con il rischio di una nuova guerra. La causa fu la Uss Enterprise, che a quel tempo era la più grande portaerei americana. Entrò nel Golfo del Bengala precedendo una squadra navale della 7° flotta della marina militare degli Stati Uniti.

Il compito di questa task force navale era di aiutare l’evacuazione delle forze pakistane assediate nel Pakistan orientale dall’esercito indiano che stava avanzando speditamente verso Dakkha, allora capoluogo regionale. La città fu occupata dalle forze militari indiane il 16 dicembre e, a breve, il Pakistan orientale diventò il Bangladesh. L’India si guadagnò così un vicino dalle grandi dimensioni ma fedele alleato. L’intervento della portaerei americana e della task force apparì futile.

In realtà, l’invio dell Uss Enterprise era un messaggio esplicito inviato da Washington a Islamabad e a Pechino. Gli Usa dimostravano attraverso la task force navale che mantenevano le promesse con gli alleati (il Pakistan) e garantivano il loro impegno anche a costo di rischiare un conflitto. Quel messaggio fu particolarmente importante per la Cina. Henry Kissinger, al tempo segretario di Stato americano, aveva appena compiuto un viaggio segreto a Pechino, usando il governo pakistano come interlocutore. La missione di Kissinger, come poi si seppe, fu quella di aprire la strada all’apertura di Richard Nixon verso la Cina.

Le autorità politiche dell’India conoscevano bene quel meccanismo e le motivazioni che spingevano gli Stati Uniti ad avvicinarsi a Pechino. Nonostante questo, considerarono un’intimidazione il comportamento americano. Ancora oggi, cinquant’anni dopo, negli ambienti politici e diplomatici di Nuova Delhi quel ricordo è ben radicato tra la classe politica.

L’equilibrio oggi si è però ribaltato. India e Stati Uniti fanno esercitazioni militari congiunte nel Golfo del Bengala. E a sentirsi minacciata adesso da questa rinnovata e strana alleanza tra Washington e Nuova Delhi è proprio la Cina. Nell’ultimo mese la cooperazione militare tra i due Paesi ha visto anche l’impiego di una portaerei americana con capacità nucleari. E tutto è avvenuto nel momento in cui la tensione tra cinesi e indiani è aumentata a seguito degli scontri di confine a oltre tremila metri di altezza. La guerra delle alte pianure, o delle cime tempestose per dirla con Emile Bronte.

I due episodi nel Golfo del Bengala, quello del 1971 e del 2020, fanno capire quanto si siano evolute in 50 anni le relazioni indo-statunitensi. Dalla cultura del sospetto e inimicizia a un’intesa tra due due soci d’affari. E in effetti l’economia ha avuto la sua parte in questo percorso. Nel 2008, India e Usa firmarono un accordo per il nucleare con interscambi commerciali reciproci. Fu il salto di qualità delle relazioni tra le due democrazie. Artefice il presidente Geroge Bush jr. Con quell’intesa, Washington legittimava di fatto il nucleare indiano e apriva la strada all’India come potenza regionale e player antagonista della Cina.

Nonostante gli sforzi diplomatici del governo di Nerenda Modi per un approccio di non belligeranza, le relazioni con Pechino non sono mai decollate. E così l’India si è messa alla ricerca di uno scudo di difesa della sua sicurezza. Si sono fatti avanti gli Stati Uniti che puntano a avere una convergenza di interessi, e non solo di esercitazioni militari, nella speranza di isolare la Cina.

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