Quali società forniscono allo Stato Islamico i componenti per fabbricare gli esplosivi dei suoi kamikaze? Uno studio del Conflict Armament Research, finanziato dall’Unione Europea, individua 51 aziende commerciali di 20 Paesi coinvolte nella fornitura di materiali necessari alla costruzione di esplosivi.

Sono 51 società di 20 Paesi a fornire componenti e materiali all’Isis per fabbricare esplosivi. Lo dice una ricerca del Conflict Armament Research (Car), un’organizzazione indipendente internazionale che studia le tipologie di armamenti utilizzati nei teatri di guerra.
Sotto la lente del Car, che ha ricevuto per l’indagine il supporto finanziario dell’Unione Europea, sono state messe le armi usate dall’Isis in Siria e Iraq: soprattutto gli esplosivi sofisticati che i jihadisti hanno impiegato negli attentati e l’elenco delle aziende che forniscono i materiali.
Secondo lo studio, lo Stato Islamico fabbrica gli esplosivi ormai su “scala industriale”. E li fabbrica con materiale legale (come i prodotti chimici) che si trovano sul mercato. Molti di questi materiali non hanno neppure bisogno di una licenza d’esportazione per essere venduti. Un modo con cui l’Isis aggira i controlli sul traffico d’armi: acquista i materiali di fabbricazione che sono più facili da importare rispetto alle armi vere e proprie.
Tra i Paesi più coinvolti, ci sono la Turchia con 13 società e l’India con 7 aziende. Presenti società anche da Brasile, Romania, Cina, Russia, Belgio, Olanda, Repubblica Ceca, Iraq, Iran, Libano, Austria, Giappone, Usa, Svizzera, Finlandia, Vietnam, Emirati Arabi Uniti, Yemen. Tra i materiali più forniti ci sono prodotti chimici, detonatori, cavi, transistor, telefoni cellulari.
Lo studio indica le rotte e modi di trasporto dei materiali necessari all’Isis.
Gli esplosivi dell’Isis sono costruiti con componenti disponibili sul mercato e soprattutto economici. Hanno provocato migliaia di morti e feriti, e sono diventati la “firma” degli attentati dello Stato Islamico.
Il quotidiano svizzero “Giornale del Popolo” scrive che gli autori della ricerca del Car hanno contattato le imprese interessate. Queste, riporta il Giornale del Popolo, non hanno risposto, oppure hanno sostenuto di non essere in grado di dire dove finiscono i loro prodotti una volta venduti.