Il ricatto di Erdogan

Il presidente turco gioca con abilità una partita a tutto campo muovendosi agilmente tra Russia, Nato e Europa. Il ricatto di Erdogan sui migranti.

Recep Tayyp Erdogan è un abile politico. Si muove nel campo internazionale con la stessa agilità di un ginnasta olimpico. Il film della politica estera turca degli ultimi cinque anni è la storia di un equilibrismo tra blocco atlantico e Russia, tra Medio Oriente e Unione Europea. Erdogan è stato capace di tenere i piedi in più territori, giocando con più attori senza mai dimenticare il proprio interesse nazionale.

Ultimo esempio, in ordine temporale, di questa abilità politica del presidente turco è la vicenda delle migliaia di migranti che da Siria, Afghanistan e altri luoghi disperati della terra, si sono diretti verso i confini meridionali dell’Europa. Senza alcuna remora morale, il leader della Turchia ha aperto i confini con la Grecia, incentivando migliaia di disperati a inseguire il sogno di entrare nell’area dell’Ue.

Per bloccare i migranti, il governo di Ankara chiede a Bruxelles altri due miliardi oltre a quelli già ricevuti dalla Commissione Europea per chiudere il confine turco-siriano e impedire il transito dei profughi in fuga dalla guerra. Un numero in crescita dopo gli scontri armati a Idlib, la provincia della Siria ancora in mano ai ribelli che da anni combattono il presidente siriano Bachar al-Assad. La Turchia appoggia i ribelli in chiave anti-Assad. La Russia sostiene il governo di Damasco del presidente siriano e combatte i ribelli chiusi nella roccaforte di Idlib.

Con il denaro europeo, Ankara non ha fatto di certo beneficenza. Ha sostenuto i costi della guerra turca a Idlib, ha combattuto i curdi in Siria e Iraq, ha contribuito a creare la zona cuscinetto al confine turco-siriano istituendo le zone di de-escalation.

Le guerre di Erdogan hanno un costo, molti costi. Il conflitto a Idlib allontana Ankara da Mosca. E la Turchia ha bisogno di fondi per sostenere una guerra per procura contro l’amico russo. Così gioca la carta dei migranti. Minaccia un’Europa già spaventata dalla diffusione dei contagi del Coronavirus, mandando migliaia di rifugiati ai confini greci. Tensioni, scontri, spari e cariche della polizia greca sui migranti hanno dato a Erdogan il potere contrattuale per trattare da un punto di forza con l’Unione Europea.

Il ricatto di Erdogan punta a avere denaro da Bruxelles e a rientrare nel campo occidentale dal momento che i suoi rapporti con la Russia di Vladimir Putin sono sempre più difficili sul fronte siriano. E non a caso la volpe di Ankara va a parlare anche con il segretario generale della Nato Jens Stoltenberg. Quest’ultimo lo rassicura con una dichiarazione quasi da matrimonio sulla buona disposizione da parte dell’Alleanza Atlantica nei suoi confronti. E sull’impegno Nato a difendere la Turchia dalle minacce siriane. Stoltenberg, insomma, ha garantito a Erdogan l’attuazione dell’articolo 5 previsto nello Statuto Nato della difesa collettiva.

E ancora una volta per Erdogan il gioco è fatto. Rientra nel campo atlantico con la stessa velocità con la quale era quasi uscito. Il flirt con la Russia iniziato nel 2015, dopo un incidente militare che ha portato Mosca e Ankara sull’orlo di una guerra, è oggi finito. O poco ci manca. Il capo della Turchia sa che il tempo della Santa alleanza di convenienza con Russia e Iran è scaduto. La storia è cambiata e occorre cercarsi nuove alleanze, nuovi amici, per garantirsi una posizione in un futuro quadro geopolitico in evoluzione. E così ritorna come un figliol prodigo alla vecchia casa dove viene accolto a braccia aperte quasi come fosse atteso da anni. Con buona pace dell’acquisto turco di missili difensivi russi.

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