Il primo Papa venuto dall’America Latina lascia un’eredità globale: dalla critica al capitalismo alla diplomazia nelle guerre, il pontificato di Francesco ha riscritto la missione della Chiesa nel mondo.
Papa Francesco è morto a 88 anni. Con lui se ne va uno dei papi più incisivi sul palcoscenico mondiale del suo pontificato. José Mario Bergoglio nasce il 17 dicembre 1936 a Buenos Aires, Argentina, da una famiglia di origine piemontese, entra in seminario dai gesuiti nel 1958 dopo un’esperienza lavorativa come tecnico-chimico, e nel 1969 è ordinato sacerdote. A livello accademico studia teologia e filosofia. Nel 1992 Papa Giovanni Paolo II lo nomina Vescovo ausiliare di Buenos Aires e nel 1997 arcivescovo della diocesi della capitale argentina.
Scelto come Papa nel conclave del 13 marzo 2013, Bergoglio è il 226esimo pontefice della Chiesa Cattolica e caratterizza il suo pontificato di 12 anni con l’evangelizzazione e il potenziamento della Chiesa nel mondo. I suoi viaggi apostolici sono stati 27, toccando posti lontani e diversi del pianeta.
La filosofia di fondo di Papa Francesco è quella di considerare il pianeta nella sua interezza, come se non esistessero confini e con un unico cittadino del mondo: l’essere umano. Non a caso ha visitato luoghi marginali o instabili, come l’Iraq nel 2021, Myanmar e il Bangladesh nel 2017, Papua, Nuova Guinea e Indonesia nel 2024. Non a caso ha usato espressioni divenute celebri come la “guerra a pezzi” o “le periferie del mondo”.
Una Chiesa che guarda al Sud
Con Papa Francesco, il Vaticano esce dalla logica eurocentrica e filo-occidentale che ha contrassegnato la Chiesa Cattolica con i suoi predecessori Joseph Ratzinger e Karol Wojtyla. Francesco porta invece la forza dirompente della fede cattolica al di là dell’Occidente, spostando l’attenzione sul continente asiatico, africano e sudamericano.
Complice anche la sua origine latinoamericana, Bergoglio si fa promotore della critica al capitalismo senza freni e alla disuguaglianza economica che proprio quel capitalismo finanziario causa nel mondo. Temi forti, quasi simili alla dottrina socialista ma appartenenti a quella corrente della dottrina sociale della quale ambienti e settori del cattolicesimo si sono fatti portatori fin dal 19° secolo. Lancia l’appello a non cadere nella trappola illusoria del consumismo e del raggiungimento della ricchezza in denaro che porta “agio solo per pochi”. Uno sguardo e un appello rivolto ai più deboli che restano ai margini della società.
Questa posizione di “anticapitalismo” di Francesco farebbe gola a molti esponenti di una certa sinistra in cerca di leadership. Un posizionamento all’insegna di una rinnovata dottrina cristiano-sociale che affonda le sue radici nel tempo e ricorda per alcuni aspetti l’enciclica Rerum Novarum del 1892. Un segnale di continuità della tradizionale impronta sociale della chiesa cattolica. Temi quindi che ottengono più consenso nel sud del mondo, extra-europeo e extra-occidentale dove sono più sentiti rispetto alla parte ricca del globo.
Il coraggio del dialogo
Convinto sostenitore della forza della diplomazia e del dialogo, Francesco dedica tutto l’impegno nel suo pontificato a usare queste armi per fermare le guerre e prevenire le tensioni. Su questo sopporta critiche e perplessità nel mondo dove di frequente la sua politica è vista come quella del cerchiobottismo.
Ma Francesco non è così. E’ sempre andato oltre perché ritiene che la sua missione sia quella di unire il mondo e farlo dialogare. Lo ha fatto potenziando il dialogo interreligioso e inviando i suoi “diplomatici” nelle zone in conflitto o di cultura lontana. Celebre è stata l’apertura verso la Cina e l’accordo del 2018 sulla nomina dei vescovi riunificando la chiesa cattolica ufficiale cinese con quella non ufficiale. Un’intesa che molti hanno visto come un favore al governo cinese nel momento in cui divampava la protesta a Hong Kong. Ma ha anche inviato i suoi nunzi apostolici nel conflitto in Ucraina, come il Cardinale Matteo Maria Zuppi, o in quello in Medio Oriente.
La missione ucraina
Proprio sulla crisi ucraina, Papa Francesco non ha risparmiato critiche a entrambe le parti pur riconoscendo la violazione del diritto internazionale da parte della Russia. Il 6 novembre 2022, nove mesi dopo l’aggressione russa, ha esortato Putin a fermare la guerra e Zelensky a essere aperto a proposte di pace. Numerose sono state nel corso del conflitto le sue dichiarazioni e gli appelli per la pace. Bergoglio ha sempre sostenuto di volere dialogare sia con Kiev sia con Mosca. Una posizione che voleva porre il Vaticano in una posizione di equidistanza al fine di dargli più autorevolezza diplomatica e più forza contrattuale per trattare con entrambi. Così il viaggio a Mosca doveva avvenire, secondo il Papa, se c’era anche un viaggio a Kiev (e viceversa). In questo senso si è sviluppata la missione del cardinale Zuppi che dal 2023 ha compiuto una serie di azioni diplomatiche. E qualche risultato c’è stato. Putin nel 2023 ha riconosciuto per la prima volta come positiva l’iniziativa di pace del Vaticano.
Un pastore nel mondo
La missione pontificia e diplomatica di Papa Francesco si è estesa al resto del mondo. Il 12 settembre 2021 è andato in Ungheria e Slovacchia, due paesi in sofferenza dentro l’Unione Europea. Il 28 giugno 2021, poco prima del G20, Bergoglio ha incontrato il segretario di Stato Usa Anthony Blinken da poco nominato da Joe Biden al Dipartimento di Stato. E’ l’inizio di un sodalizio e collaborazione diplomatica tra la Santa Sede e gli Stati Uniti. Papa Francesco e Blinken parlano di Venezuela, Medio Oriente, Siria e Tigray in Etiopia. Sono le crisi dell’epoca e dal confronto nasce l’idea di tenere una voce comune nelle relazioni internazionali. Proprio sul Medio Oriente la diplomazia vaticana si fa più forte. Nel 2019 visita il Marocco dove incontra il re Mohammed VI. Il viaggio è parte della strategia del Vaticano su Gerusalemme. La Santa Sede è in cerca di alleanze nel mondo musulmano per preservare il carattere multi-religioso di Gerusalemme e conservare la sua vocazione di città della pace. E’ questa la mission che si è dato il Papa. L’impegno continua ma a fatica con la politica aggressiva di Benjamin Netanyahu volto a smontare ogni tentativo di far nascere lo Stato palestinese. Sulla crisi di Gaza e le offensive israeliane in Medio Oriente, il Papa ha espresso più volte il suo dolore.
Tra Corea del Nord e Iraq
Papa Francesco fa sentire con decisione il peso del Vaticano nello scenario internazionale con due proposte inaspettate nella primavera del 2021. La prima è l’annuncio di voler fare un viaggio in Corea del Nord. La seconda è il viaggio in Iraq. Quello in Corea del Nord, mai realizzato, nasce dall’intenzione di visitare il Paese nel 70esimo anniversario della divisione delle due Coree. L’idea era già emersa nel 2019 durante i negoziati sulla denuclearizzazione tra il Nord e gli Stati Uniti e a seguito dei summit inter-coreani tra il presidente sudcoreano, Moon Jae-in, e il leader della Corea del Nord, Kim Jong-un. A ottobre 2018 il presidente Moon incontrò papa Francesco, facendo da tramite a un invito verbale inviato da Kim. La visita in Iraq avviene il 7 marzo 2021. Papa Francesco incontra le autorità irachene, incluso l’Ayatollah Ali al-Sistani, la massima autorità sciita in Iraq. Va a Ur, la città di Abramo e a Mosul, appena liberata dall’Isis. Il Papa guarda a rafforzare il dialogo interreligioso, porta con un discorso di altissimo livello il messaggio di fratellanza religiosa e di dialogo perché è da qui che si riparte per una convivenza civile e pacifica in una terra martoriata dai conflitti. In terra di Mesopotamia le religioni sono più che mai l’oppio dei popoli e solo con il rispetto reciproco e l’accettazione della diversità religiosa si può dare stabilità. La filosofia di Papa Francesco e la sua visione del mondo è questa qui. Dialogo e diplomazia.
Bergoglio non si è certo improvvisato diplomatico o negoziatore. Fin dall’inzio del suo pontificato ha subito fatto intendere che la sua linea di “politica estera” avrebbe avuto come obiettivo il mondo. Viaggia in Colombia (2017), nella terra dei Narcos, dove è in corso il processo di pace tra governo e le Farc, i gruppi ribelli che da decenni combattono il governo centrale di Bogotà. L’obiettivo della diplomazia della Santa Sede era chiaro fin dalla vigilia del viaggio di Papa Francesco. Blindare la pace in Colombia e dimostrare che la geopolitica papale del dialogo può condurre a riconciliare le parti e a mettere pace. Nell’agosto 2017 interviene anche sul Venezuela. Papa Francesco ha richiesto, tramite la segreteria di stato vaticana, al Presidente venezuelano Nicolas Maduro di fare un passo indietro sull’assemblea costituente che stava creando tensione all’interno del Paese. Fa arrabbiare il presidente turco Recep Tayyp Erdogan sul genocidio armeno. Il 12 aprile 2015 Papa Francesco ricorda nell’Angelus il centenario del ‘martirio’ armeno che definisce “immane e folle sterminio”. Il riferimento è alla Turchia. Immediata la reazione del governo turco alle parole del Papa. Viene convocato il nunzio apostolico ad Ankara, monsignor Antonio Lucibello.
L’ultima lezione: la pace ha bisogno di coraggio
Uomo di pace, ma realista Bergoglio non ha mai sostenuto il divieto incondizionato delle armi. Lo dimostra nel marzo del 2015 nei pieno dell’aggressione dell’Isis in Mesopotamia ma anche nel mondo. Il messaggio è chiaro: se non si trovano soluzioni diplomatiche, lo Stato del Vaticano è favorevole all’uso della forza militare per fermare le aggressioni contro i cristiani e le altre minoranze religiose da parte delle milizie dello Stato Islamico. Non dimentica mai l’obiettivo della pace. Una sua celebre frase, con cui concludo questo lungo articolo dove si ripercorre l’attivismo di Papa Francesco nel mondo, è questa: “Per fare la pace ci vuole coraggio, molto di più che per fare la guerra. Ci vuole coraggio per dire sì all’incontro e no allo scontro; sì al dialogo e no alla violenza; sì al negoziato e no alle ostilità; sì al rispetto dei patti e no alle provocazioni; sì alla sincerità e no alla doppiezza. Per tutto questo ci vuole coraggio, grande forza d’animo.”