I sondaggi lo danno in svantaggio, molti esponenti del suo partito lo attaccano. Tra questi Mitt Romney e Collin Powell. Anche Bush lo critica. E’ davvero il declino politico di Trump?
Il Presidente non se la passa bene. Il declino politico di Donald Trump esplode al tempo del Coronavirus e alimenta la crisi dell’America. Gli scontri e le manifestazioni successivi all’uccisione di George Floyd possono essere il colpo di grazia politico per il capo della Casa Bianca. Prima le polemiche sulla gestione dell’emergenza sanitaria (negli Stati Uniti sono quasi 2 milioni i positivi); dopo il botta e risposta tra Washington e Pechino sull’errore nel laboratorio cinese di Wuhan dal quale si sarebbe generata la pandemia; infine le tensioni internazionali con i palestinesi e l’immancabile Iran; e ora Trump sente il peso delle proteste in decine di città americane dove cresce l’indignazione per la morte dell’afroamericano Floyd a Minneapolis.
E in questo contesto che arriva come una pesante mannaia il sondaggio pubblicato dalla Cnn. Nella corsa presidenziale, l’ex vice-presidente di Barack Obama, Joe Biden, stacca Trump di ben 14 punti. Il democratico tocca il 55%, mentre il tycoon repubblicano si ferma al 41%. La politica del presidente è approvata dal 38% (sempre la Cnn), mentre il 57% boccia il suo operato. E’ una percentuale simile a quella degli ex-presidenti Jimmy Carter e George Bush (padre) nell’anno elettorale in cui non vennero eletti.
Eppure The Donald sbeffeggia i dati. “I sondaggi della Cnn- ha dichiarato- sono falsi come le notizie del network”. Ma nel suo staff cominciano a essere preoccupati. Perché anche i loro sondaggi mostrano un crollo. Ora la comunicazione del presidente degli Stati Uniti dovrà cambiare e correggere il tiro.
Non sarà facile. Soprattutto perché Trump ha alle spalle un partito spaccato e diviso. Alcuni celebri esponenti repubblicani lo attaccano frontalmente e prendono le distanze da lui. Mitt Romney, senatore ex- candidato repubblicano alla Casa Bianca, ha marciato a Washington insieme ai manifestanti. Il senatore è un noto critico di Trump e ha dichiarato al New York Times che non voterà per lui a novembre. Lo stesso ha fatto Collin Powell, ex-segretario di Stato di George W. Bush (figlio), che ha detto pubblicamente che voterà Biden. Dura la replica di Trump che ironizza su Powell: “Quello che aveva detto che l’Iraq ha armi di distruzione di massa. Ma non era vero. Un truffatore”.
La lista dei critici di Trump è lunga. Il colpo forse più forte è arrivato dall’ex-segretario alla Difesa Jim Mattis. In un duro editoriale pubblicato sul magazine americano The Atlantic, Mattis si smarca dal suo ex-presidente e condanna senza appello la sua politica, spingendosi fino a dire che minaccia la Costituzione. “Per la prima volta in vita mia assisto ad un presidente che non cerca di unire gli Americani, non fa neanche finta, e anzi cerca di dividerci” scrive Mattis.
Contro il presidente, che ha minacciato di usare le forze armate contro i manifestanti, si sono schierati anche l’ex generale John Kelly, suo ex capo di gabinetto ed ex ministro per la Sicurezza nazionale, John Allen, ex comandante delle forze Usa in Afghanistan e presidente di Brookings, e Mike Mullen, ex capo dello stato maggiore congiunto, avvertendo che “mina i valori dell’America”.
Il nome forse più celebre, e inaspettato dal presidente Usa, è quello di George W. Bush. L’ex-capo di Stato americano, repubblicano, ha criticato Trump insieme ai democratici Obama, Bill Clinton e Jimmy Carter. Tutti e quattro ritengono che il presidente americano stia dividendo l’America. Ecco le parole di Bush: “C’è un cammino condiviso e da condividere. C’è l’empatia, il compromesso condiviso, l’azione decisa, la pace fondata sulla giustizia. Sono fiducioso che gli americani, uniti, saranno capaci di ritrovare questo cammino”. Al club dei presidenti si aggiungono anche altri ex-rappresentanti dell’establishment, tutti convinti che la politica del presidente divida il Paese.
Cosa succede dunque in America? C’è veramente un declino politico di Trump? I segnali ci sono tutti ma la storia delle elezioni, negli Stati Uniti e altrove, ci ha insegnato che tutto può accadere. E’ noto che la politica sia “l’arte del possibile”. Le precedenti elezioni americane ci hanno dimostrato proprio questo. Nel 2016 Donald Trump sembrava avere contro tutti. Dalla stampa ai grandi network mediatici, da Hollywood ai gruppi del web.
Eppure vinse. Quell’anno mi trovai a New York due mesi prima del voto presidenziale. I motori della campagna elettorale erano caldi e rombavano. Sulla stampa e sulle televisioni andava in onda un circo mediatico continuo che puntava a mettere in cattiva luce il futuro presidente. Sulla quinta strada davanti alla Trump Tower c’era un appostamento continuo di giornalisti e telecamere. Tutto questo favorì Trump. Pubblicità e attenzione continua su di lui che hanno quasi fatto passare in secondo piano l’avversaria Hillary Clinton. I tassisti newyorchesi, i lavoratori di hotel e ristoranti, la gente comune mi diceva che Trump avrebbe perso. Ciò non accadde. E la storia, come insegnava qualcuno, tende a ripetersi.