I Dream Syndicate pubblicano il loro primo album nel 1982. The days of wine and roses inventa il Paisley Underground.
Era il 1982. I Dream Syndicate, californiani, pubblicano un album destinato a fare un piccolo grande pezzo della storia del rock. The days of wine and roses colpisce la critica musicale specializzata in nuovi movimenti. Siamo lontani dal garage, ma i Dream Syndicate ne sono gli anticipatori con un sound che unisce l’esperienza psichedelica del decennio precedente con tracce di punk e rock’n roll.
Ci sono molto i Velvet Underground del periodo d’oro, ma anche l’ebbrezza chitarristica propria dei seventies, anche se c’è una rottura ricercata con le chitarre della San Francisco e Los Angeles. Un suono più acido, se vogliamo, ma sempre capace di trasmettere la poesia di gruppi come i Grateful Dead o la ballata dylaniana.
Guidati dall’instancabile Steve Wynn (chitarra e voce), la band è formata da Karl Precoda (chitarra), Kendra Smith (Basso e voce) e Dennis Duck (batteria). L’album è stato preceduto nello stesso anno da un Ep di 4 pezzi, pubblicato dall’etichetta Down There di prorpeità dello stesso Steve Wynn. Un piccolo gioiello, oggi difficile da reperire, che apre la strada al più celebre The days of wine and roses, pubblicato però dall’etichetta Ruby Records. Solo nel 2001 la Rhino Records ha ristampato entrambi i dischi in un unico album.
Quest’ultimo si apre subito con un pezzo da botto: Tell me when it’s over. Mi è capitata di sentirla dal vivo in una delle ultime esibizioni in Italia della band, prima della pandemia. Un’esibizione da brivido. Definetly Clean è una ballata acida coinvolgente, mentre That’s you always say merita di essere ascoltata più volte. Così come la malinconica Then she remembers. Mi piace meno Halloween, forse la song più celebre di questo album. Ho sentito e risentito anche la versione live sul mitico Live at Rajis del 1989 ma continua a non convincermi. Neppure dal vivo, le tante volte che ho sentito i Dream Syndicate, quel pezzo mi ha colpito. La mia preferita rimane When you smile, una ballata poetica da cinema. Più divertente Until Lately, mentre trovo geniale Too little to late. Meno avvincente la track di chiusura che dà il titolo all’intero album.
A quarant’anni dall’inizio di quel percorso intrapreso da Steve e compagni oggi rimane poco. La band ha subito varie divisioni e peripezie. Steve Wynn suona da solo in giro per il mondo, oppure accompagnato da qualche Syndicate, Nel 2017 la band prova a riformarsi e dà vita a un buon album (How did I find Myself) e un tour strepitoso. Il concerto al Magnolia di Milano è indimenticabile. Certo non siamo al livello di quando li vidi al Rolling Stones, mitico locale milanese, ma la verve c’era ancora tutta. Ora aspetto la prossima produzione di Steve & co.