Austria, Danimarca, Paesi Bassi e Austria si oppongono alla proposta Merkel e Macron. Nel mirino c’è il sud Europa e l’Italia in particolare. Perché i 4 Paesi moschettieri d’Europa non hanno niente da insegnare all’Italia.
Il Coronavirus spacca l’Europa in due. A 4 Paesi del cosiddetto gruppo del nord, che chiamo i 4 moschettieri d’Europa, non piace il piano da 500 miliardi di euro proposto da Angela Merkel e Emmanuel Macron.
I leader di Francia e Germania hanno proposto di dotare di 500 miliardi il Recovery Fund. E con un’apertura che sarebbe stata straordinaria fino a qualche mese fa, Berlino e Parigi hanno anche deciso di erogare quel fondo come contributo e non in forma di prestito. Significa che le somme erogate non dovranno essere restituite.
A Austria, Danimarca, Paesi Bassi e Svezia questa idea non va giù. Non tanto per i 500 miliardi. Quanto piuttosto per la prospettiva di elargire denaro che non sarà rimborsato. L’Unione Europea, quindi, vede contrapporsi ancora una volta il Nord al Sud. Sempre che l’Austria possa considerarsi davvero Nord.
Nel mirino degli Stati settentrionali c’è soprattutto l’Italia. Non lo dicono nelle sedi istituzionali, ma lo fanno capire. Di recente, il premier olandese Mark Rutte ha incontrato i netturbini olandesi. Rivolgendosi a uno di loro ha detto che avrebbe preso nota della sua richiesta di non dare soldi a italiani e spagnoli. Lo stesso primo ministro ha poco dopo rassicurato pubblicamente un camionista che lo pregava di non dare soldi agli italiani. “Certo che no”, ha risposto Rutte.
In realtà, l’Olanda dovrebbe preoccuparsi della sua situazione interna. Il Coronavirus ha colpito 45.008 persone pari allo 0,263% della popolazione. L’Italia ha una percentuali di contagiati pari allo 0,380% della popolazione. L’Olanda ha 17,28 milioni di abitanti. Non è messa tanto bene e se la prende con l’Italia. Rutte mostra i muscoli e gioca a fare il duro. Ma sembra più una messinscena per mantenere il consenso interno che rischia di perdere se non gestisce bene la crisi da Coronavirus.
Anche la Svezia non se la passa tanto bene. Il governo di Stoccolma ha scelto fin dall’inizio di non fare il lockdown. Il risultato è stato un’impennata di morti e contagiati. E una crisi economica in arrivo dalla quale gli svedesi non possono sottrarsi secondo diversi istituti di analisi economica. La Svezia non ha nulla da insegnare all’Italia, che sul Coronavirus ha fatto scuola e si sta battendo su tutti i fronti per strategie economiche che difendano il Paese dalla crisi.
La Danimarca si accoda a Svezia e Paesi Bassi. Copenaghen ha però messo in campo misure economiche che ricordano molto quelle italiane. Proroga alle misure assistenziali, aiuti di Stato, iniezioni di liquidità. Ha avuto però pochi contagi ed è stata tra le prime a mettere fine al lockdown.
Infine l’Austria. Il nostro vicino, ma forse anche quello più contrario a erogare 500 miliardi in contributi, ce l’ha in maniera particolare con l’Italia. Prima della pandemia ci sono stati diversi problemi di frontiera sulla questione migratoria. All’inizio dell’epidemia Vienna ha chiuso subito i confini con l’Italia. Ora dice che non li riapre se non per far passare i turisti tedeschi e svizzeri diretti nel nostro Paese.
L’Italia non ha nulla da imparare da questi 4 Paesi moschettieri d’Europa. Anzi, Roma potrebbe fare scuola e insegnare molto. Soprattutto, su come si gestisce una crisi sanitaria e come si reagisce economicamente.
Ha detto bene Angela Merkel in questi giorni. La cancelliera tedesca ha lanciato un messaggio, implicitamente diretto ai 4 moschettieri, che dalla crisi si deve uscire con un’Europa più democratica e libera. Pretendere che la volontà di 4 Stati possa piegare quella di altri 23 (una parte dei quali ha già detto sì alla proposta franco-tedesca) non è una gran prova democratica. Ricorda più il Concerto d’Europa uscito dal Congresso di Vienna nel 1815, con 4 potenze che governano il sistema internazionale, che un’Unione fondata su meccanismi democratici.
I 4 Paesi moschettieri hanno anche presentato lo loro proposta alternativa al piano Merkel-Macron. Un fondo di emergenza “temporaneo, una tantum” e limitato a due anni, per sostenere “la ripresa economica e la resilienza dei settori sanitari” con un approccio basato su “prestiti a condizioni favorevoli” senza “alcuna mutualizzazione del debito” e in cambio di “un forte impegno per le riforme” nazionali da parte dei beneficiari.
Una proposta scritta in burocratese arcaico e che odora di austerity vecchia maniera.
Ciò che deve preoccuparci più di tutto però non è la questione economica e la diatriba su prestiti sì, prestiti no. La posta in gioco è ben altro. La pandemia da Coronavirus ci insegna che il mondo e le relazioni internazionali cambieranno. E i Paesi devono capire quali sono i nuovi orizzonti della politica internazionale del post-covid. Come cambierà il sistema del lavoro, dei rapporti sociali e interpersonali, allo stesso modo muteranno i rapporti inter-statali. Anche l’Unione Europea cambierà inevitabilmente. E arroccarsi su vecchi schemi e tabù vuole dire non avere capito la portata di quello che c’è in corso. In questo contesto, l’Italia si presenta come un grande Paese progressista. E i Paesi del nord, storici simboli del progressismo europeo e mondiale più avanzato, appaiono come vecchi bacchettoni. E spiace dire che gli esempi più deludenti arrivano da Olanda e Svezia, due Paesi che abbiamo sempre amato e stimato.