Israele teme attacchi dall’Isis alle sue frontiere con la Siria. La preoccupazione dell’intelligence di Gerusalemme è che le operazioni militari contro i jihadisti in Siria e Iraq spingano i miliziani verso le frontiere israeliane e giordane.

Per i servizi di sicurezza israeliani, la minaccia terroristica prende il nome di Brigata dei Martiri di Yarmouk. Ed è operativa lungo la frontiera tra Israele e Siria, nei pressi delle alture del Golan. Il gruppo, uno dei tanti che compongono la galassia dei ribelli siriani, è un braccio operativo di Daesh (il nome arabo dell’Isis). La Brigata dei Martiri di Yarmouk conta tra i 600 e i 1000 uomini e ha giurato fedeltà al Califfo dello Stato Islamico Abu Bakr al-Baghdadi.
La preoccupazione di Tel Aviv è che i gruppi dell’Isis, in fuga da Siria e Iraq, si uniscano alla Brigata dei Martiri di Yarmouk usando le sue basi per fare attentati in Israele e Giordania.
I timori israeliani sono fondati. Le milizie dell’Isis operative in Siria meridionale sono a circa 80 km dal confine di Israele. E il mese scorso Daesh ha diffuso una registrazione -la voce è stata attribuita ad al-Baghdadi- nella quale si dice che: “Con l’aiuto di Dio ci stiamo avvicinando ogni giorno e presto gli israeliani ci vedranno in Palestina”.
A confermare i timori di Israele è il tenente generale Gadi Eizenkot, capo delle forze armate israeliane, che ha spiegato all’Economist come i successi contro l’Isis in Siria e Iraq aumentino le probabilità che i jihadisti si dirigano verso Israele e Giordania.
E il punto di passaggio più appetibile è appunto la frontiera tra Israele e Siria. Perché in questa vasta area la situazione è caotica più che mai e favorisce il transito di terroristi. Le basi siriane dell’Isis sono a due passi e il terreno è montagnoso. La zona non è sotto il controllo di nessuno. Israele ha messo recinzioni e sensori lungo il suo perimetro, ha portato forze regolari al posto dei riservisti ma il valico è comunque difficile da presidiare.
L’Isis potrebbe però scegliere altri luoghi per l’attacco a Israele. Come nel Sinai per esempio. Dove è operativo il gruppo Wilayat Sinai che ha giurato fedeltà allo Stato Islamico nel 2014.E ha rivendicato l’attentato all’aereo russo esploso lo scorso ottobre dove morirono 224 persone.
Israele è preoccupata anche per il palestinesi più radicali, cittadini di Israele, che potrebbero lavorare per l’Isis. Per ora solo 50 palestinesi con passaporto israeliano sono andati in Siria al fianco dei miliziani di al-Baghdadi. A Gerusalemme, sui media, si dice che ci sono più svedesi a combattere con Daesh che arabo-israeliani.La delusione che però si registra tra i giovani palestinesi verso l’Autorità Nazionale Palestinese e Hamas potrebbe farli avvicinare all’Isis.
Il presidente israeliano Reuven Rivlin ha detto nei giorni scorsi alla stampa che: “L’Isis è qui, e non è più un segreto”. E ha specificato che non è ai confini di Israele ma è dentro Israele. Tutti gli indizi e indagini, secondo il presidente Rivlin, fanno pensare che la popolarità dell’Isis stia crescendo e che molti arabi-israeliani si siano uniti allo Stato islamico. La vigilanza ai confini di Israele potrebbe non essere più sufficiente.
certamente fra tutti i Paesi minacciati da questi teroristi Israele é quello che ha la minaccia più vicina e tangibile. I gruppi sono tanti e sparsi un po’ dappertutto in Medio Oriente e anche in Europa, ma rimango dell’idea che il taglio della testa possa uccidere il serpente. Un’azione di terra in profondità che tolga anche il rifornimento di petrolio potrebbe dare una svolta a questa storia. Pensare di impedire che vendano il petrolio é utopia, il prezzo basso fa solo sì che ne debbano vendere di più ( tanto l’hanno rubato che importa?) se non si capisce che é necessario invadere il loro territorio e impedire loro i movimenti non si concluderà mai questa storia. Anche Hitler é stato sconfitto definitivamente non già dai bombardamenti massicci, ma dallo sbarco in Normandia a Occidente e dall’Armata Rossa a Oriente.