Fornitura armi all’Ucraina: cosa dice il diritto internazionale

Alcuni Paesi occidentali vogliono autorizzare il presidente Volodymyr Zelensky a usare le armi fornite dall’Occidente per colpire obiettivi sul territorio russo. Putin minaccia la Nato. Cosa dice il diritto internazionale.

La fornitura di armi occidentali all’Ucraina ha messo gli Stati davanti a una questione importante. La domanda è la seguente: fornire armi a uno Stato aggredito per difendersi dall’aggressore ma anche per colpire i suoi obiettivi sul suo territorio è legittimo per il diritto internazionale?

Il riferimento è alle ultime vicende della guerra tra Russia e Ucraina. L’eventuale autorizzazione a Kiev da parte dei paesi occidentali a utilizzare i missili a lungo raggio sul territorio russo equivale a una dichiarazione di guerra? Vladimir Putin ha posto la questione in questo modo: l’uso di armi di Paesi membri della Nato, soprattutto missili a lungo raggio, per colpire obiettivi sul territorio della Russia significa che la Nato è in guerra con Mosca. In altri termini la domanda è questa: la fornitura di armi a uno Stato aggredito affinché le usi per colpire lo Stato aggressore sul suo territorio è una dichiarazione di guerra?

Vediamo cosa dice il diritto internazionale.

Il diritto internazionale non prevede una norma specifica che regoli esplicitamente la fornitura di armi a un paese aggredito, ma ci sono diversi principi e strumenti legali che ne influenzano la legittimità.

  1. Legittima difesa (Articolo 51 della Carta delle Nazioni Unite): uno Stato aggredito ha il diritto di difendersi e di chiedere assistenza militare da altri Stati. La fornitura di armi a uno Stato aggredito, se richiesta per scopi di autodifesa contro l’aggressione, può essere considerata legittima ai sensi di questo articolo. Tuttavia, l’autodifesa deve essere necessaria e proporzionata alla minaccia.

  2. Non intervento negli affari interni (Principio di non ingerenza): il principio della sovranità nazionale e della non ingerenza prevede che gli Stati non interferiscano negli affari interni di un altro Stato, a meno che non vi sia una richiesta esplicita da parte dello Stato in questione o l’autorizzazione da parte del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite. Questo principio si applica soprattutto in situazioni in cui la fornitura di armi potrebbe esacerbare il conflitto o destabilizzare ulteriormente la situazione.

  3. Diritto internazionale umanitario: durante un conflitto armato, la fornitura di armi deve rispettare le norme del diritto internazionale umanitario (ad esempio, le Convenzioni di Ginevra). Ciò significa che le armi fornite non possono essere utilizzate per commettere crimini di guerra o violare i diritti umani. Gli Stati che forniscono armi devono assicurarsi che queste non vengano utilizzate per scopi illegali, come attacchi contro civili.

  4. Embargo sulle armi: il Consiglio di Sicurezza dell’ONU può imporre un embargo sulle armi contro uno Stato o una regione specifica. In tal caso, la fornitura di armi a un paese coinvolto nel conflitto può essere illegale se viola tali sanzioni.

  5. Responsabilità dello Stato fornitore: uno Stato che fornisce armi a un paese aggredito potrebbe essere ritenuto responsabile se queste armi vengono utilizzate per violare il diritto internazionale, ad esempio per commettere crimini contro l’umanità o genocidi.

In sintesi, la fornitura di armi a uno Stato aggredito per attaccare lo Stato aggressore può essere legittima se avviene nel contesto dell’autodifesa, ma deve rispettare i principi del diritto internazionale, come la proporzionalità, la protezione dei civili e l’eventuale presenza di embargo o restrizioni internazionali.

In generale, la fornitura di armi a uno Stato aggredito da parte di terzi non equivale automaticamente a un atto di guerra o a un coinvolgimento diretto nel conflitto tra lo Stato aggredito e lo Stato aggressore. Tuttavia, ci sono alcune considerazioni e circostanze rilevanti:

1. Diritto di legittima difesa collettiva: ai sensi dell’Articolo 51 della Carta delle Nazioni Unite, uno Stato può chiedere aiuto militare da altri Stati in caso di aggressione. Se uno Stato terzo fornisce armi in risposta a una richiesta di aiuto, non significa automaticamente che quello Stato entri in guerra con l’aggressore, perché la fornitura di armi rientra nella legittima difesa collettiva.

  1. Distinzione tra aiuto militare e coinvolgimento diretto: fornire armi è generalmente considerato un “sostegno indiretto” piuttosto che un “coinvolgimento diretto” nel conflitto. Lo Stato aggressore potrebbe considerare ostile l’azione, ma dal punto di vista legale internazionale, l’atto di fornire armi non costituisce necessariamente un casus belli (motivo di guerra). Un conflitto armato tra gli Stati coinvolti nella fornitura di armi e lo Stato aggressore si verificherebbe solo se vi fosse un’azione militare diretta, come l’invio di truppe o attacchi diretti.

  2. Rischio di escalation: sebbene la fornitura di armi non costituisca di per sé un atto di guerra, lo Stato aggressore potrebbe interpretare politicamente questa azione come una provocazione o un’aggressione indiretta. In casi estremi, potrebbe reagire con misure ostili, diplomatiche o addirittura militari, contro gli Stati fornitori. Tuttavia, queste reazioni sarebbero il risultato di una decisione politica dello Stato aggressore e non di una norma di diritto internazionale.

  3. Norme consuetudinarie: nella pratica internazionale, è comune che Stati terzi forniscano armi senza essere considerati in guerra con lo Stato contro cui tali armi vengono utilizzate. Per esempio, durante la Guerra Fredda, Stati Uniti e Unione Sovietica fornirono armi a Stati impegnati in conflitti contro Stati alleati dell’altra superpotenza, senza che ciò sfociasse in una guerra diretta tra di loro.

  4. Responsabilità dello Stato fornitore: in alcune circostanze, se le armi fornite vengono utilizzate in modo indiscriminato o per violare il diritto internazionale, lo Stato che le ha fornite potrebbe essere ritenuto responsabile di complicità in atti illeciti, ma ciò non implica automaticamente uno stato di guerra.

In sintesi, mentre la fornitura di armi a uno Stato aggredito potrebbe essere vista come un atto ostile dallo Stato aggressore, non implica automaticamente che ci sia uno stato di guerra tra lo Stato aggressore e gli Stati fornitori. La decisione di considerare questa azione come un atto di guerra dipenderebbe dalla reazione politica dello Stato aggressore, non da una norma giuridica prestabilita nel diritto internazionale.

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