La teoria dell’economista statunitense è ancora al centro del dibattito economico. Il taglio delle tasse consigliato da Laffer fu messo in pratica da Ronald Reagan.
Un sistema di imposte con aliquote progressive elevate fa sempre aumentare le entrate fiscali ? Il dibattito si apre negli anni ’70 del secolo scorso e divide gli economisti delle diverse scuole di pensiero.
La discussione si concentra soprattutto su un aspetto: ci sono effetti negativi con aliquote marginali (progressive) elevate? In altri termini, le tasse più alte sui ricchi assicurano sempre maggiori entrate fiscali? Sul tema vengono date le risposte più svariate a seconda delle dottrine economiche prevalenti. Keynesiani e liberisti hanno visioni diverse.
In questo acceso e appassionato dibattito politico-economico si inserisce sul finire degli anni ’70 la teoria sviluppata da un brillante economista: Arthur Laffer, poi consulente di Ronald Reagan alla Casa Bianca, meglio conosciuta come curva di Laffer. La teoria trova il supporto in un movimento di economisti di stampo liberista conosciuto come scuola orientata verso l’offerta (supply-side economics).
Questa nuova scuola di pensiero economico nasce attorno al 1980 e ritiene che le aliquote progressive elevate hanno effetti negativi sull’economia nazionale. I suoi economisti arrivano anche a accusare questo modello fiscale di essere la causa dei mali economici degli Stati Uniti. Come per esempio il basso risparmio, la bassa produttività, l’aumento dell’inflazione.
Tra gli studiosi che fondano questa teoria ci sono Arthur Laffer, Jude Winniski, Norman Ture, Paul Craig Roberts e il premio Nobel Milton Friedman, esponente della scuola di Chicago e regista del movimento economico.
La scuola orientata verso l’offerta spiega la necessità di avere aliquote progressive basse per avere buoni risultati economici. Tra gli strumenti analitici che usa per dimostrare questa teoria c’è appunto la curva di Laffer.
Cos’è la curva di Laffer
C’è una storia che viene associata a Arthur Laffer. Nel corso della campagna elettorale per le presidenziali del 1980, il candidato repubblicano Ronald Reagan incontra Laffer in un ristorante di Washington. L’economista gli spiega con convinzione la sua teoria scarabocchiando il grafico della curva su un tovagliolo. Vera o meno che sia questa storia, fatto è che Reagan applicò nel suo primo mandato da presidente un taglio delle aliquote fiscali sulla base delle teorie di Laffer e della supply-side economics.
La curva spiega che alta pressione fiscale e entrate fiscali sono inversamente proporzionali. In sostanza se le aliquote progressive aumentano troppo (come nel caso delle aliquote percentuali sui redditi alti) il gettito fiscale diminuisce. Perché succede questo? Secondo Laffer a un certo punto le imprese e la gente cominciano a lavorare di meno, a risparmiare di meno e a spostarsi in alcuni casi verso il sommerso.

Il grafico qui sopra riportato, pubblicato dalla Fondazione Luigi Einaudi, mostra bene la forma della curva di Laffer. Sugli assi cartesiani ci sono gli aumenti delle tasse e del gettito fiscale. Possiamo spiegarlo così: con un aliquota fiscale pari a zero non c’è ovviamente nessuna entrata; anche con con imposte al 100 per cento non ci sarebbe nessuna entrata perché nessuno si metterebbe a lavorare per versare tutto al fisco.
In mezzo c’è però una curva che prima sale e poi scende. Secondo gli economisti della scuola orientata verso l’offerta succede questo: quando le aliquote aumentano progressivamente il gettito fiscale cresce; a un certo punto però al salire delle aliquote le entrate fiscali diminuiscono. Questo succede perché, come detto, se le tasse aumentano la gente comincia a lavorare di meno perché ritiene poco conveniente aumentare il proprio reddito se viene più che dimezzato dalle tasse.
Nel punto del grafico chiamato punto ideale per le tasse il gettito fiscale è massimizzato. Se si aumenta ancora la tassazione si avrà l’effetto contrario: meno entrate, più evasione fiscale, meno produzione e più lavoro nero. L’economista premio Nobel Paul Samuelson spiega nel celebre manuale (Economia, Zanchelli) che il punto massimo ideale dovrebbe essere con un aliquota intorno al 50%, anche se lo stesso Laffer – spiega Samuelson- non era convinto che fosse sempre a quella quota. Per altri due celebri economisti come Roger Dornsbusch e Stanley Fischer (Macroeconomia, Il Mulino), il punto ideale è con un aliquota al 60%.
Gli oppositori della teoria di Laffer
Naturalmente la spiegazione di Arthur Laffer non soddisfa tutti gli economisti. Sono soprattutto quelli di scuola keynesiana che non sono convinti di questa teoria. Lo stesso Samuelson appare critico nel suo manuale su cui si sono formate generazioni di economisti.
Una confutazione della curva di Laffer la pubblica il professor Don Fullerton dell’Università della Virginia (Relationships between tax rates and government revenue, Journal of Public Economy, 1982). Fullerton ricostruisce la curva di Laffer. Lo fa però con studi econometrici su come reagisce l’offerta di lavoro ai cambiamenti dell’aliquota. Ciò che ne esce è una curva in cui il punto massimo ideale, come si vede nel grafico sotto, è molto più a destra di quello di Laffer. Fullerton dimostra e ci dice che un taglio delle imposte produce una riduzione proporzionale del gettito, contrariamente a Laffer. La storia economica ha poi mostrato che i tagli delle tasse effettuati da Reagan hanno ridotto il gettito fiscale ma hanno anche creato enormi disavanzi del bilancio federale americano negli anni ’80 come hanno scritto i già citati Dornbusch e Fischer.