di Valeria Fraquelli. Sono tanti i giovani che hanno creduto alle false lusinghe del Califfato. Chi sono i ragazzi foreign fighters.
Sono tanti i ragazzini che hanno creduto alle false lusinghe del Califfato e ai cattivi maestri e predicatori d’odio e scelto di andare con le truppe del sedicente Stato Islamico. Ci sono però anche tutti quei ragazzini che si trovano nelle zone controllate dallo Stato islamico loro malgrado e devono sperare di sopravvivere con le unghie e con i denti.
Ci sono anche i minori che combattono insieme ai loro genitori e ogni giorno sono costretti a partecipare alle atrocità dello Stato islamico, e non possono provare sdegno o dolore di fronte a quello che vedono. Non tutti hanno una idea precisa di che cosa vogliano da loro i comandanti dello Stato islamico, sanno solo che devono obbedire, pena la morte, e questo è chiaro per tutti.
Ci sono i radicalizzati, i combattenti ed i non combattenti, ma tutti sono finiti in qualcosa di più grande di loro, sono invischiati in una situazione dalla quale è impossibile uscire.
I radicalizzati pensano che in fondo questa guerra sia giusta, che sia una bella cosa processare gli infedeli per i loro crimini, hanno subito un vero e proprio lavaggio del cervello e non riescono più a distinguere il bene dal male. Ma i combattenti possono anche non essere radicalizzati, spesso combattono solo per paura, per non perdere l’amore dei genitori, se di amore si può parlare.
I non combattenti si nascondono come meglio possono, cercano di salvare la vita come possono, vogliono solo sfuggire dalla guerra ma non ce la fanno. Per loro non contano niente la guerra e la religione, vogliono solo trovare un posto sicuro dove ripararsi in attesa che le ostilità cessino.
Bisogna quindi fare delle distinzioni ma neanche troppo; tutti i ragazzi e le ragazze che si trovano nei territori dominati dallo Stato islamico sono impauriti, anche i combattenti che non lo danno a vedere nascondono la paura dietro minacce contro gli occidentali. Tutti sanno che il loro destino è segnato, sono condannati a vivere in un mondo dove la sopravvivenza è garantita solo ai più forti e si sono adattati, hanno imparato che solo così possono farcela.
I bambini ed i ragazzi sanno bene che nessuno li può salvare e quindi cercano di fare della loro vita quello che gli altri si aspettano, non c’è speranza e non c’è comprensione; già da piccolissimi a questi bambini si fa il lavaggio del cervello, poi da grandi diventano perfetti membri del sedicente Califfato. Vengono drogati e spesso usati come attentatori suicidi, mentre la paura li assale non devono mostrare emozioni, andare dritti verso una morte che non hanno voluto loro.
I ragazzi e le ragazze, tra violenze e soprusi, vanno incontro al loro destino. I ragazzi vengono addestrati per essere dei bravi soldati che potrebbero perdere la vita in battaglia, le ragazze sono impiegate nella polizia religiosa ma comunque diventano madri per rinforzare le fila dei combattenti. Devono stare chiuse in casa e sottomettersi ai loro mariti, senza contraddirli e senza protestare anche se è un violento che non prova amore per loro. La violenza fa parte della loro vita, è considerata normale pur nelle sua brutalità.
Quindi alla fine se vogliamo davvero fare rifiorire questi ragazzi dobbiamo fare capire loro che un’altra vita migliore è possibile. Lacerare quel legame insano che hanno con i loro carcerieri è un punto di partenza, poi bisogna rieducarli e giudicarli in seguito.
Valeria Fraquelli