Lo Stato Islamico estende i suoi confini a qualche centinaio di miglia dalle coste italiane e maltesi e arriva alle porte dell’Europa. Secondo fonti libiche vicine al governo di Tobruk, riconosciuto dalla comunità internazionale, le bandiere nere si vedono sventolare dalle auto nelle strade di Tripoli. E arrivano le minacce all’Italia. Dopo il messaggio rivolto al Ministro degli Esteri Paolo Gentiloni (“Ministro dell’Italia crociata”), i miliziani hanno annunciato di essere alle “porte di Roma”, con un riferimento esplicito all’Italia. La Farnesina ha, intanto, cominciato l’evacuazione dei nostri connazionali dalla Libia e una motovedetta italiana che stava prestando soccorso a un barcone di migranti è stata minacciata da uomini armati.
A dire il vero alle porte d’Europa l’Isis c’era arrivata lo scorso novembre con la conquista di Derna. Su “Notiziario Estero” avevamo scritto di “Califfato alle porte d’Occidente”. Poco dopo il Califfato è arrivato a Sirte e ora minaccia Tripoli e probabilmente anche Bengasi. Sullo sfondo i rischi della guerra civile in Libia che va profilandosi tra le varie fazioni che già rendono instabile il Paese. Un’instabilità procreata dall’intervento occidentale nel 2011 per spodestare Gheddaffi, detronizzazione a cui non è seguita una stabilizzazione del Paese. E’ la stessa fotografia della Siria e dell’Iraq. Dove c’è una forte destabilizzazione politica, è più facile per gli uomini del Califfato entrare in silenzio nelle città e poi impossessarsene del tutto portandosi appresso il terrore e la barbarie che li contraddistingue. Anche in Libano, incapace da anni di ritrovare una propria stabilità governativa, le milizie islamiche stanno pian piano inserendosi nei gangli del Paese. E’ notizia di questi giorni la presenza dell’Isis nella città di Arsal, al confine con la Siria, dove hanno aperto il tribunale islamico.
C’è da chiedersi cosa intende fare la comunità internazionale. Il vertice di Londra tenuto a gennaio dopo i fatti di Parigi non sembra aver messo in campo strategie. La Casa Bianca ha convocato per il 18-19 febbraio un vertice sul terrorismo. La coalizione anti Isis appare sonnolenta e ha avuto una breve scossa dopo l’intervento della Giordania. L’impressione generale è che ci sia un sonnambulismo ai limiti della sottovalutazione da parte del mondo civile. L’Italia propone l’intervento militare nell’ambito dell’Onu. A dirlo sono stati il Ministro della Difesa, quello degli esteri ma anche Romano Prodi in un’intervista rilasciata al Fatto Quotidiano e a Rai News 24. Ma dall’Onu non arrivano grandi risposte. Anzi, sul sito ufficiale delle Nazioni Unite non c’è alcuna analisi e valutazione, tranne un messaggio di condanna e cordoglio per i fatti di Copenaghen. L’immobilismo è preoccupante. Tanto più che si crea in un clima di attesa generale, come se si aspettasse che qualcuno faccia la prima mossa. La situazione è gravissima e anche complessa. Il mondo si trova davanti a una “guerra ideologica”, per usare un‘espressione cara a Raymond Aron, individuando nel fanatismo religioso la molla che scatena l’animosità degli animi esacerbando all’inverosimile l’eccitazione macabra dei suoi militanti. Una guerra che, come tutte quelle ideologiche, è più pericolosa dei conflitti economici. Soprattutto una guerra che sfugge al controllo degli stati e degli apparati militari, con obiettivi difficili da individuare perché spesso si trovano in mezzo ai civili. Eppure, i centri nevralgici dei sacerdoti del terrore sono conosciuti. Mosul, Raqqa e altre città siriane e irachene. Si comprende la delicatezza di operazioni militari che potrebbero spingere una parte dei musulmani verso l’Isis, ma occorre cogliere anche l’opportunità del momento nel quale l’Islam moderato ha condannato gli atti compiuti dallo Stato Islamico, alcuni gruppi terroristici come Hezbollah hanno preso le distanze dall’Isis così come e la leadership sciita in Iran. Aspettando potrebbe essere troppo tardi.