Il Boss è tornato. Western Stars di Bruce Springsteen è la diciannovesima fatica del grande rocker americano. Ed è un grande disco.
Al diciannovesimo album e dopo oltre trent’anni di fatiche musicali, il Boss ha superato se stesso. Sto parlando di Western Stars (ascolta l’album) di Bruce Springsteen, edito dalla Columbia Records e uscito sul mercato internazionale lo scorso 14 giugno. L’album del grande rocker americano è sublime, con ballate avvolgenti e non si riesce a smettere di ascoltarlo. Provare per credere. Più ballate alla Woody Guthrie che il rock movimentato a cui Springsteen ci ha abituato. C’è sempre la grande poesia che ha contraddistinto il musicista del New Jersey. Il Boss non le manda a dire come suo solito. In Western Stars c’è tutta la sua America e la visione degli States al tempo di Donald Trump, di John Bolton e dei conservatori. Nessuno sa raccontare gli Usa meglio di lui. Le sue strade polverose, le città di notte, le strade solitarie. I paesaggi e un Paese visto dal finestrino di un auto. Possono capire cosa intendo quelli a cui piace prendere l’auto e girare a tarda notte in una grande città, osservandola dal finestrino e ascoltando ballate notturne, come Springsteen o Tom Waits. Suggestioni e emozioni, riflessioni personali e sogno. Chi lo ha fatto sa di vivere un momento magico, di immergersi in un viaggio dentro se stessi emotivo e da brividi. Ascolto questo Western Stars di Bruce e ripenso, attraverso le strade solitarie di una Milano di fine luglio, al John Kerouac di On the Road, torna in mente la celebre frase del suo libro: “Sveglia, andiamo, e ora di andare. E dove si va? Non lo so, l’importante è andare”. Forse un altro mondo, forse un’altra storia. Ma un mondo e una storia densi di emozioni, con quello spirito di osservazione rivolto a futuro, sguardi profondi e da brividi. Come le note delle ballate di Springsteen. Ascoltate la splendida Hitch Hikin che apre l’album: “Faccio l’autostop tutto il giorno / Con me ho quello che riesco a portarmi dietro e la mia canzone / Sono una pietra rotolante che va avanti / Raggiungimi oggi perché domani non ci sarò più. Un inevitabile riferimento a Muddy Waters, ma anche agli Stones e Dylan. Oppure la bellissima The Wayfarer: “Quando tutti dormono e le campane di mezzanotte suonano / Le ruote della mia auto sibilano sull’autostrada, girano senza mai fermarsi. Come al solito Springsteen ci racconta le sue storie di gente solitaria, a volte sconfitta dalla vita dopo mille sogni e speranze. Ecco per esempio la sublime Somewhere North of Nashville: Ora sono fuori su questa autostrada/Con un freddo gelido/Da qualche parte a nord di Nashville. E poi la parte più bella: Ti ho scambiato per questa canzone/Ci svegliavamo ogni mattina con i cuori appagati/L’uccellino dell’amore sul davanzale della finestra/Ora il cuore vacilla e la notte è immobile/E tutto quello che ho è questa melodia/E il tempo da perdere/Qui, da qualche parte a nord di Nashville. Testi magari lontani dal mitico The River, ma che ricordano alla mia generazione il malinconico The Ghost of Tom Joad, un meraviglioso omaggio a John Steinbeck e al suo Furore. Storie di un’America rurale e country, che vive e va avanti nonostante la grande crisi che ha devastato il midwest negli anni scorsi. Il racconto di un Paese mai scomparso, con le sue strade infinite e le città che appaiono dal nulla dopo migliaia di miglia tra campi, polvere e piccoli borghi. L’album è stato registrato nello studio personale di Springsteen nel New Jersey, con qualche trasferta a New York e in California. Sono 13 pezzi da ascoltare tutte di un botto. Ci sono naturalmente le storie di amori perduti, di storie spezzate com’è tipico dell’artista. Per esempio nella bellissima e notturna Sundown: Sono a 2.500 miglia/Da dove voglio essere/Mi sembrano cent’anni
Che non mi sei vicina/Immagino che ciò che fai, piccola,/Prima o poi, ti tornerà indietro/
Vorrei solo che tu fossi qui con me, a Sundown. E poi la straordinaria, e già di successo sulle radio Usa ma anche europee, There goes my miracle (ascolta): Alba, tramonto/La strada è diventata dorata/In alto cieli ramati/Sto cercando il mio amore, cercando il mio amore. Tipica love-song springstiniana. Ma il top, a mio avviso, è Hello Sunshine. C’è tutto Springsteen in questa canzone, quello che abbiamo conosciuti da ragazzi con il quale siamo cresciuti. Una grande song story con i tipici giri musicale e vocali del Boss. Ci sembra, a noi che lo seguiamo da trent’anni, di averla già sentita, di sentire il gusto dello Springsteen al tempo di Nebraska. Ecco alcuni passaggi: Sai che ho sempre amato una città solitaria/Quelle strade vuote, nessuno in giro/Ti innamori della solitudine e finisci con l’essere solo/Ciao raggio di sole, non vuoi rimanere?/Sai che ho sempre amato quella strada vuota/Nessun posto dove restare e miglia da percorrere. Forse il significato più profondo lo trovo però in Western Stars, che dà il titolo all’album: Stanotte le stelle dell’ovest brilleranno di nuovo. Probabilmente un riferimento autobiografico alla depressione appena superata. Il Boss ce l’ha fatta. Però ha attraversato, come molti, il proprio personale deserto. So long Bruce.
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